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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
03.01.2021 Stefan Zweig, Hans Rosenkranz e la fine di un mondo
Recensione di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 03 gennaio 2021
Pagina: 1
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Consigli ai naviganti di questo mappamondo»
Riprendiamo dal SOLE24ORE/Domenica di oggi, 03/01/2021 a pag.1, con il titolo "Consigli ai naviganti di questo mappamondo" il commento di Giulio Busi.

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Giulio Busi

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Stefan Zweig - La copertina (Giuntina ed.)

Se volete seguire questa storia, dovete procurarvi un mappamondo. Meglio se di quelli di una volta, che ruotavano con misteriosa velocità attorno a un perno invisibile, di paese in paese, di sogno in sogno, di lontananza in lontananza. Dopo aver cercato i nomi sulla superficie lucida del globo, preparatevi a partire per davvero. Bisognerà restare fuori a lungo. Mesi, anni, forse per sempre. Potrebbe darsi che questa sia una storia senza ritorno. Lo scopriremo strada facendo, se davvero non rivedremo mai più casa. Quale casa? Naturalmente Salisburgo, dove sennò? L'indirizzo è facile da ricordare, Kapuzinerberg 5. Non lasciatevi intimorire dal piccolo castello settecentesco, nobile ed elegante. Ci abita uno scrittore, dicono, e a giudicare dall'edificio dev'essere uno che con la penna ci sa fare. Stefan Zweig è uno degli autori più letti di quegli anni. Ha una scrittura facile, sinuosa, morbida. I suoi racconti vanno a ruba. Tradotti, ristampati, osannati, sono lo specchio di una società colta, aperta, nevrotica quel che basta a renderla dinamica e creativa. Zweig ha fatto restaurare l'antica magione patrizia, l'ha arricchita di una splendida biblioteca, di una suntuosa collezione di autografi di celebri personalità e di cimeli augusti, come la scrivania appartenuta Ludwig van Beethoven. Il salotto di Stefan e della moglie Friederike von Winternitz, anch'essa ottima scrittrice, è frequentato da nomi che fanno la storia della cultura novecentesca. Romain Rolland, Hugo von Hofmannsthal, Arthur Schnitzler, Thomas Mann, Franz Werfel, James Joyce, Richard Strauss sono solo alcuni degli amici che convergono qui, attirati dalla fama e dall'ironia dei padroni di casa. Una dimora dorata, insomma, da cui chiunque non vorrebbe spostarsi per nessuna ragione. Ma Stefan Zweig non è chiunque. «Pensate al mondo, quanto è grande! Ho visto l'India, la Cina, l'America, l'Africa, Cuba, il Canada, e so che ho vissuto. Il pensiero più temibile, per me, sarebbe stato quello di non aver respirato il mondo». Questo è Zweig, cosmopolita per vocazione e per mestiere. Scrivere, per lui, significa vivere e poi rivivere, scoprire e poi riscoprire. La letteratura non è un semplice esercizio di stile. Vuol dire muoverlo, il mappamondo, dentro nell'anima e fuori, nei sensi, nelle città, nei volti, nei paesaggi. «So che ho vissuto», ci confessa. Anzi, lo spiega a un suo ammiratore di soli sedici anni, per mostrargli cosa voglia dire seguire la propria vocazione intellettuale. Per andare a trovare il ragazzo dobbiamo spostarci da Salisburgo e inerpicarci verso nord, fino a Königsberg. Oggi la città si chiama Kaliningrad ed è in Russia, ma al tempo della missiva, nei primi anni Venti, questa era Prussia orientale, per lingua, politica e tradizione. Il mappamondo ruota, e a ogni giro scopre un'illusione. Sarebbe meglio dire, un luogo-illusione. Immaginatevi un ragazzo di belle speranze, che si sia messo in testa di fare lo scrittore. Dalla sua città sul Baltico manda una letterina al Grande Autore, laggiù in Austria, per chiedergli consiglio e sostegno. E il Grande Autore, senza farsi pregare, prende la sua bella stilografica d'oro, per la precisione una Swan Leverless di produzione inglese, e risponde poche, affettuose righe d'incoraggiamento. È l'inizio di una fitta corrispondenza, durata quasi quindici anni, pieni di immagini personali, d'idee, di promesse. Anche grazie al supporto di Zweig, Hans Rosenkranz, questo il nome del giovanotto, compie il gran salto. Si trasferisce a Berlino per tentare fortuna come editore. Per una breve stagione dirige una piccola ma intraprendente casa editrice, la J. M. Späth, con cui si avventura in pubblicazioni di rilievo, sempre affiancato dallo sprone epistolare di Zweig. Rosenkranz, buon letterato, è però privo del necessario polso commerciale, e nel 1929 la sua impresa naufraga tra i debiti. Un amico comune dei due, Erich Ebermayer, che Zweig ha convinto a lavorare per Rosenkranz, ricorda nelle sue memorie la frenetica vita di quegli anni: «II generoso giovane editore mi offrì un trampolino di lancio per Berlino, città alla quale comunque miravo [...] Rosenkranz e io comprammo insieme una "macchina da corsa" con autista, che mi passava a prendere in livrea ogni mattina, e mi guidava fino alla casa editrice [...] Sfortunatamente, solo per cinque settimane. Una mattina, l'auto era stata prelevata e sequestrata, l'autista se ne era andato, perché non aveva più ricevuto uno stipendio, e l'editore era andato in bancarotta. Ascesa e caduta a un ritmo come era possibile solo a Berlino». Ecco che, dopo Salisburgo e Königsberg, sul nostro mappamondo si accende la luce, febbrile e fatale, di Berlino. A interrompere la corrispondenza tra Zweig e il suo protetto non è però il tracollo economico. L'ultima missiva è del 1933. I nazisti hanno preso il potere e Rosenkranz, che è convinto sionista, lascia la Germania per la Palestina. Anche Zweig abbandona Salisburgo, ormai lambita da un rovente antisemitismo. Trova rifugio a Londra e poi emigra al di là dell'Oceano, assieme a Charlotte Altmann, segretaria e seconda moglie. Nel 1940 si stabilisce in Brasile. «Adesso, imparate solo lingue! Questa è la chiave della libertà. Chissà, forse la Germania e l'Europa diventeranno così cupe che lo spirito libero non potrà più respirarvi». Zweig lo aveva scritto nel 1921, quando sollecitava Rosenkranz ad aprirsi al mondo. Quel "chissà, forse" si è trasformato in una realtà ineludibile. Quale mano muove ora il mappamondo? Il suo rotare è diventato faticoso, pesante. Con la fidata stilografica, nella solita, nitida grafia, il 22 febbraio 1942 Zweig verga il suo ultimo testo. Lo intitola Declaraçáo, in portoghese, per poi continuare nel suo tedesco, così ritmato. In tutto il foglio si scorgono solo due cancellature. «Dopo i sessant'anni c'è bisogno di energie particolari per cominciare di nuovo. E le mie sono esaurite per i lunghi anni di peregrinare senza patria». Una delle due correzioni, un tratto nero a spirale, si è infilata tra "i" e "lunghi anni". L'apertura al mondo si è trasformata in un peso, il perenne vagabondaggio sembra ora una condanna. La notte tra il 22 e il 23 febbraio, Stefan e Charlotte si tolgono la vita. Rosenkranz trascorre gli anni della seconda guerra mondiale combattendo nella brigata ebraica, e partecipa alla campagna d'Italia. Si sposa, è attivo in Israele come scrittore. Ma il mappamondo non si ferma, nemmeno un attimo. Nell'ottobre 1956, Rosenkranz, che ha preso il nome ebraico di Chai Ataron, si toglie la vita a Tel Aviv. L'epistolario con Zweig, una vera primizia letteraria, è riaffiorato alla luce, in Israele, solo nel 2016, e l'edizione bilingue, pubblicata ora dalla Giuntina, è un tributo importante ai due protagonisti e alla vicenda letteraria novecentesca. Lo avevamo capito fin dall'inizio, che da questo viaggio non ci sarebbe stato ritorno. Quattordici anni separano il suicidio di Zweig da quello di Rosenkranz. Quattordici anni, diecimila chilometri e la fine di un mondo.

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