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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
30.08.2020 'Il diavolo in Francia', di Lion Feuchtwanger
Recensione di Raffaele Liucci

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 30 agosto 2020
Pagina: 4
Autore: Raffaele Liucci
Titolo: «Il cuore di tenebra francese»

Riprendiamo dal SOLE24ORE/DOMENICA di oggi, 30/06/2020, a pag.4, con il titolo "Il cuore di tenebra francese" la recensione di Raffaele Liucci.

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Raffaele Liucci

Il diavolo in Francia, Lion Feuchtwanger. Giulio Einaudi Editore - eBook
La copertina (Einaudi ed.)


“Come dar senso all'insensato?», si chiede Lion Feuchtwanger all'inizio del suo memoir, scritto di getto e pubblicato in America nel 1941. Ormai al sicuro a New York, Lion contempla lo skyline di Manhattan ripensando alla lunga estate dell'anno precedente, quando in un'Europa in fiamme si trovó catapultato all'improvviso nel magma informe della Storia. Nella primavera del 1940, Feuchtwanger era uno scrittore tedesco cinquantaseienne di origine ebraica, arrivato al successo quindici anni prima con il romanzo Süss l'ebreo (la cui storia sarà poi stravolta nella pellicola antisemita del '4o voluta da Goebbels). Giunto al potere Hitler a fine gennaio 1933, Lion si era stabilito con la moglie a Sanary-sur-Mer, accanto a Tolona. I fratelli Oppermann, ambientato a Berlino e pubblicato in quello stesso '33, sarà forse il primo romanzo tedesco a documentare in tempo reale la svolta antiebraica del nuovo governo. Primo Levi ricorderà di aver compreso quale sarebbe stato il destino degli ebrei in un'Europa germanica soltanto dopo aver letto quel libro, «importato nascostamente dalla Francia» (Potassio, racconto incluso nel Sistema periodico). Eppure, quando l'ombra minacciosa di Hitler si affacciò all'orizzonte, lo Stato francese compì il suo voltafaccia. Da un giorno all'altro, Feuchtwanger — in quanto potenziale nemico interno — dovette dire addio alla bella e aristocratica dimora affacciata sul Mediterraneo, fra olivi, fichi e isole incantevoli; alla preziosa biblioteca; agli amati gatti, forse gli unici «famigliari» che, stando sempre all'erta, presagivano íl pericolo incombente. La patria dei diritti dell'uomo, dopo aver accolto l'esule antinazista diventato apolide, adesso gli assegnava un numero, costringendolo a dormire sul pagliericcio di una fabbrica abbandonata e adibita a campo di concentramento. Il primo merito del Diavolo in Francia, finalmente pubblicato in Italia grazie all'amorevole cura e traduzione di Enrico Arosio, è appunto quello di aprire uno squarcio su un tema scabroso e rimosso, ossia i campi per «stranieri indesiderabili» allestiti in Francia a partire dal settembre 1939. La grande fornace di mattoni di Les Milles (Provenza del Sud), che accolse l'autore il 21 maggio 1940, è oggi l'unica struttura del genere sopravvissuta, trasformata in museo. Il libro di Feuchtwanger resta una delle migliori testimonianze al riguardo, insieme a Schiuma della terra dell'ungherese Arthur Koestler (tuttora nel catalogo del Mulino, con un'introduzione di Gianni Sofri), che racconta un'esperienza analoga, però riferita al campo di Le Vernet, vicino ai Pirenei, dove fu internato anche il nostro Leo Valiani. Con una penna pacata e sottilmente ironica, Feuchtwanger fissa la nuda vita di Les Milles, ove la soglia del pudore e dell'igiene si abbassano gradualmente sino a scomparire: «nessuno si vergognava più di mettere in mostra brutture e acciacchi, sia del corpo sia dell'anima». Di notte, il silenzio era continuamente rotto dal «rumoreggiare, ronfare, scoreggiare» di tutti. Eppure, in questa dolente promiscuità, l'autore non scorge soltanto degrado, fame e abbruttimento, bensì anche «l'innumerevole varietà dei volti e delle anime» dei 2-3000 ospiti del campo. I trafficanti di giornali (un genere proibito), gli operai della Saar con il loro francese perfetto, gli ebrei ortodossi muniti di scialle e filatteri. E poi, il proprietario di un cinematografo che tiene al guinzaglio un cagnolino, il vecchio professore viennese che si crede un novello Socrate, il distinto signore che si vanta di saper riconoscere dall'odore i nazisti (tra i reclusi ci sono anche loro, ma restano una minoranza).

In certe pagine, la cronaca sconsolata assume risvolti picareschi. Nessun prigioniero veniva picchiato o malmenato, però la sciatteria e il torpore della burocrazia francese (il «diavolo» evocato nel titolo) lasciavano già intravedere il piano inclinato lungo il quale il Paese stava scivolando, e così pure la sorte degli ebrei internati. Il diavolo in Francia non è un libro statico. Quando è ormai chiaro che le truppe di Hitler, travolgendo ogni barriera difensiva, avrebbero presto invaso la Valle del Rodano, tra i molti antinazisti prigionieri a Les Milles serpeggia la disperazione. Alcuni accarezzano l'idea del suicidio. Il 22 giugno 1940, dalla vicina stazione parte verso Ovest un treno merci scortato dai soldati per condurre in salvo gli internati più a rischio. Il convoglio fantasma sferraglia nel buio della lunga notte che sta piombando sulla Francia. I passeggeri stipati, i vagoni freddi e maleodoranti, le condizioni igieniche spaventose. Così come Les Milles sembrava prefigurare campi ben più atroci, anche questa anabasi pare un anticipo di deportazioni ancor più lugubri. Dopo essere giunto a Bayonne, sull’Atlantico, vicino al confine spagnolo, il treno compie un mesto viaggio a ritroso, fermandosi a Nimes, non lontano dal punto di partenza. Intanto, un anziano generale, Philippe Pétain, ha stipulato un armistizio con i tedeschi Nasce la Repubblica di Vichy. La «strana disfatta» della Francia (Marc Bloch) si è compiuta. A Nimes tutto sembra tornare come prima. Viene allestita una tendopoli circondata dal filo spinato. Rifioriscono i commerci proibiti (caffè, zuppe bollenti, salsiccette, oltre alle camicie, scarpe e orologi lasciati dai fuggiaschi). Ritornano la penuria d'acqua, il pane cattivo, il sovraffollamento, la mancanza di latrine adeguate, la dissenteria, il tifo. E aleggia un nuovo, terribile interrogativo: «i francesi ci consegneranno ai tedeschi?». Nel frattempo, la coraggiosissima moglie dell'autore, Marta, scappata dal campo di Gurs e deus ex machina della nostra storia, si stava muovendo per lui. Lion riuscirà a fuggire rocambolescamente il 21 luglio del '40, camuffato da anziana signora inglese. Il regista effettivo della sua liberazione (e di molte altre, fra cui quelle di Marc Chagall e Max Ernst) fu Varian Fry, giovane giornalista americano, per conto dell'Emergency Rescue Committee, sostenuto da Eleanor Roosevelt, first lady americana. Oltrepassati i Pirenei, Feuchtwanger s'imbarcherà a Lisbona per New York, dove arriverà nella seconda metà di settembre, presto raggiunto da Marta. Poi, l'ansia di fissare sulla pagina un'estate di cui si ricorderà per sempre: «Ho incontrato Dio sotto diverse spoglie, e sotto diverse spoglie ho incontrato anche il Diavolo».

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