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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
01.12.2019 Le sculture in filo di rame di Primo Levi alla Gam di Torino fino al 26 gennaio
Analisi di Stefano Salis

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 01 dicembre 2019
Pagina: 42
Autore: Stefano Salis
Titolo: «Le sculture di Primo Levi: la vita e la scrittura intrecciate col fil di rame»
Riprendiamo dal SOLE24ORE/Domenica di oggi, 01/12/2019 a pag.42, con il titolo "Le sculture di Primo Levi: la vita e la scrittura intrecciate col fil di rame" il commento di Stefano Salis.

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Primo Levi con una delle sue creazioni in filo di rame

Nessuno, in Italia, ha dedicato una cocciuta attenzione - e lo dico con il massimo rispetto delle due parole e del loro nesso - a Primo Levi quanto Marco Belpoliti. Gli va dato atto che il suo scavo dentro e intorno alla sua letteratura e alla sua vita (e quale altro autore ha avuto così intimamente unite le cose; dall'una è scaturita l'altra, e viceversa, e in un legame inscindibile e, talora, insospettabilmente fertile) ha prodotto, nel tempo, libri, conferenze, riflessioni, articoli, interventi, curatele. Belpoliti ha "inseguito" il filo che Levi ha tracciato, non facendosi depistare da nulla, ma vagliandone le mille involuzioni, i ritorni, le svolte, gli attorcigliamenti e il dipanarsi. In un libro che è e resta fondamentale, Primo Levi di fronte e di profilo (ma che titolo bellissimo!), ad indagarne la sfaccettata personalità, che richiede diversi punti di osservazione (una cocciuta attenzione, appunto, che non lo imprigioni in "sterili" per quanto nobilissimi cliché) edito qualche anno fa da Guanda, aveva voluto in copertina una foto che a Levi scattò Mario Monge: seduto su una poltrona "indossa" una maschera da gufo. Dietro di lui, sul muro, una enorme farfalla (che nella copertina viene espunta per ragioni grafiche). A Belpoliti non è sfuggito, e non poteva, il nesso "identitario" che Levi stabilì con quelle sculture di filo di rame - e in particolare con quella del gufo: «il gufo sono io», scrisse Levi - che lui stesso fabbricò per anni: opere di un dilettante, è vero, forse non fatte con intento artistico, destinate a uso privato (al limite regalo per gli amici) ma non neutrali. Non neutrali per lui come persona e come scrittore, di fronte edi profilo: e vederle insieme in una mostra lieve (con un allestimento semplice e poetico) e intensa alla Gam di Torino («Figure», a cura di Fabio Levi e Guido Vaglio, fino al 26 gennaio) conferma l'impressione. «Imparare a fare una cosa è ben diverso dall'imparare una cosa» diceva Levi. Equi, nelle figure di rame costruite a mano (nobilitazione del fare), negli appunti e nelle citazioni, nelle foto e negli abbozzi di racconti, davvero viene fuori un Levi ancora non del tutto esplorato. Che ha bisogno di un allargamento di spettro di indagine, e lo reclama: nonostante (e vi prego di prendere con le dovute cautele il peso di questa parola) il valore ingombrante e fondamentale della forza della sua testimonianza, Levi non dimentica, anzi, sospinge la dimensione ludica del suo fare; ma anche l'etica del lavoro, la forza della fantasia, il fascino della apparizione, misteriosa e primigenia, dell'animale. Qui, istrice, coccodrillo, canguro, centauro sono mitologia e fatto insieme: esatta coincidenza col suo agire letterario. Primo Levi aveva un "aspetto artistico" nella sua personalità, e lo notò già Philip Roth, in visita da lui a Torino, quando quelle strane "figure" di filo di rame lo colpirono. «Di tutti gli artisti intellettualmente dotati del XX secolo - e l'unicità di Levi consiste nell'essere più il chimico artista che lo scrittore chimico - lui è probabilmente quello che si è più adattato all'ambiente circostante in tutti i suoi aspetti» ne scrisse. La docilità con la quale si piega il filo, eppure la sua consistenza, la sua capacità di "rappresentazione" sono l'esito più spiazzante dell'opera di Levi, che mai, come in queste sculturine, ha unito le sue passioni. Non è che la letteratura non gli bastasse; è che era parte di un sistema (periodico?) nel quale tutto si tiene: vita, esperienza, dedizione al lavoro, saper fare e saper pensare, scrivere e agire, testimoniare, ricordare e giocare, farsi prendere dalla fantasia. Oggetti semplici, questi animali in rame «trafilato, rutilante e sorprendentemente flessibile perle dita» (e ancora: «il filo smaltato sangue del mio sangue»; «il rame fa come noi»), sono l'inoppugnabile verità che Levi ha saputo adattarsi, con flessibilità incommensurabile al gioco e alla tragedia della vita: ce lo restituiscono, usciti dalla mostra, scrittore ancora più grande del nostro Novecento. Enigmatico, nero e solare, vitale: necessario. Come questa mostra, uno degli omaggi migliori, più utili, più inevitabili, al suo centenario.

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