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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
02.06.2019 Gerbi, una autobiografia corale
Recensione di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 02 giugno 2019
Pagina: 22
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Un'autobiografia corale»

Riprendiamo dal SOLE24ORE-Domenica di oggi, 02/06/2019, a pag.22 con il titolo "Un'autobiografia corale" la recensione di Giulio Busi al libro "Ebrei riluttanti" di Sandro Gerbi, Hoepli ed.

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Giulio Busi                               La copertina

Un'autobiografia è per eccellenza il libro dell'io. Delle confessioni, dell'educazione sentimentale, dei successi e dei fallimenti di una vita, tutti declinati alla prima persona singolare. Narcisismo, autocoscienza, amore o odio di sé, infilati come perle con il filo robusto dell'ego. A Sandro Gerbi è riuscita un'impresa a prima vista impossibile. Ha scritto una bella autobiografia al plurale, Ebrei riluttanti, appena uscito per Hoepli, è naturalmente anche un viaggio dell'"io". L'eroe principale è lì, in bella mostra, già dal primo episodio, una drconcisione tardiva e ben poco religiosa. È lui che ci accompagna tra i ricordi propri e in quelli della famiglia in cui è nato. Il libro scivola lungo il corso di decenni, tra esperienze vissute e impegno intellettuale, e sembrerebbe destinato all'accogliente porto dell'"ecco come sono (stato)". Il ritratto dell'autore si scompone però subito in una girandola di profili. Altri volti, altre storie, altre nostalgie si aggiungono all'ovale al centro. In alcuni casi, questi interludi s'accendono e finiscono nel giro di una pagina. Altre volte, si tratta di presenze più forti, che tornano a intermittenza. È l'autobiografia di parecchie generazioni, che s'incrodano, si scontrano, si sovrappongono l'una all'altra. Ma è anche l'autobiografia dei maestri, degli amici, dei colleghi. «Minuto, chioma grigio-bianca, il volto di chi ha attraversato tempi procellosi, indossava una palandrana da camera blu scuro, piuttosto trasandata. Un neo violaceo spiccava sul labbro inferiore, pendulo, assai adatto per reggere l'eterno sigaro o la sigaretta».
Chi è? Provate a indovinare. Niente meno che György Lukács, incontrato a Budapest tra il Natale e il Capodanno 1969. Mettetevi comodi, nell'appar tamento con vista sul Danubio, ovviamente zeppo di libri. Nessuno si aspetta una biografia completa di uno dei più grandi filosofi marxisti del XX secolo, ma uno scorcio, inedito e gustoso, Gerbi lo sa regalare. Le vite, fino ad allora tranquille, È solo uno tra i tanti esempi possbili, che dà un'idea delle potenzialità del volume. Aperto, accogliente, intelligente con una punta di malizia. Proprio come la casa del Lukács ottantaquattrenne, che in quell'ultimo periodo della sua vita «aveva preso l'abitudine di ricevere persone a frotte, ogni glorno dalle 10,30 alle 13,30». Il vantaggio di un'autobiografia corale è che potete sentirvi liberi di entrare e uscire a vostro gradimento, e di scegliere d'intrattenervi con chi più vi aggrada. Non siete obbligati a restare sempre alla corte del Grande Autobiografato, come accade in testi più convenzionali. Accomiatandosi dalla modesta casa ungherese, Gerbi, che era anadato con amici, annota: «La conversazione durò meno di un'ora, ma per cinquant'anni ci siamo vantati di aver incontrato il grande Lukács».
Se invece volete sapere cosa accadde dalle parti del 1938, sfogliate la prima parte del libro. È lì che dado della sorte comincia a rotolare. E, dispettoso com'è, rotola dalla parte sbagliata. «Nella tarda primavera del '38, quando la canea antisemita stava raggiungendo il culmine sui fascistizzati giornali dell'epoca, una Balilla nera ogni tanto parcheggiava al buio nei pressi dell'ippodromo di S. Siro, alla periferia di Milano. A bordo c'erano quattro uomini: tre adulti e uno anziano». Abbiamo parlato di sorte, ma non è la parola giusta. «Canea antisemita», la chiama Gerbi, questo destino voluto su misura dal regime fascista, per discriminare, cacciare e umiliare solo alcuni. I passeggeri della Balilla nera, che si rifugiano in macchina per non farsi sentire, sono il padre Edmo e i tre fratelli Gerbi - Giuliano, Antonello e Claudio - che appartengono «per così dire alla jeunesse dorée milanese. Nel caso se ne fossero andati, avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo.Le leggi razziali sono allaporta e il gruppo ottimamente inserito nella vita sociale e nella cultura dell'epoca, ne ha sentore prima di molti altri. Comincia l'Exodus, come recita il titolo amaro e allo staesso tempo ironico del capitolo. Le vite fino allora tranquille , si fanno mivimentate, nsicure. In brevissimo empo, quattro individui più o meno secolarizzati e ben integrati nella società italiana si trasformarono loro malgrado in 'ebrei erranti'. Lo scopriamo anche in cucina, come si addice a una vera autobiografia. «Solo ogni tanto mia madre ricordava, con un pizzico di nostalgia, alcuni cibi della tradizione ashkenazita, fiorente nell'Impero austro-ungarico, come il fegato d'oca o le zuppe con matzah balls (polpette di pane azzimo) o con gefilte fisch (polpette di pesce). Ma prosciutto e salame da noi erano di casa e tutti ne eravamo golosi consumatori». Non vi avevamo detto che Herma, la mamma, era nata a Vienna, in una famiglia di origine ceca (con ascendenze ungheresi). La sua è una vicenda nella vicenda, che ci fa risalire a ritroso nel mondo ebraico centro-europeo. Quanto al prosciutto, ben poco kosher, avreste dovuto intuirlo già dal titolo. Ebrei riluttanti vuol dire anche questo. Riluttanti nelle osservanze religiose, ma ben consapevoli di fronte alla storia.

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