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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
13.05.2018 Buon compeanno Israele ! Il nuovo e l'antico dello Stato di Israele
L'ottimo commento di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 13 maggio 2018
Pagina: 1
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Il nuovo e l'antico dello Stato di Israele»

Rprendiano dal SOLE24ORE di oggi, 13/05/2018, a pag.1/ 7 una approfondita analisi della storia di Israele da parte di Giulio Busi, con il titolo "Il nuovo e l'antico dello Stato di Israele"

Stona, nell'edizione di oggi del quotidiano della Confindustria, la presenza di un pezzo di Ugo Traballi, una dei più accaniti critici, senza se e senza ma, di Israele, un pezzo di totale disinformazione acui è stato dato il titolo " Israele, un sogno incompleto". Tramballi preferirebbe un incubo, si rassegni, Herzl aveva visto giusto.

Ecco il pezzo di Giulio Busi:

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Giulio Busi

Il 14 maggio 1948, alla proclamazione dello Stato d'Israele, tutto sembra cominciare. E di fatto, inizia una costruzione nuova, un progetto che si sbilancia nel futuro. Alle spalle vi sono le macerie e la morte. La diaspora europea ha appena vissuto la sua ora più tragica. Un'ora che è durata anni, sempre più angoscianti, fino all'annichilimento di milioni di persone. E fu sera e fu mattino, ricorda la Torah. Se c'è mai stata una sera sulla terra, una notte interminabile, è stata quella che precede il 1948. Fil mattino? Dove comincia, da dove lo si misura? C'è una continuità segreta, a cui spesso non si fa attenzione, tra il prima e il dopo Israele. Certo, la compagine moderna di uno Stato, l'esercito, l'infrastruttura politica, sembrano nascere come dal nulla. Tutto può essere ripensato. C'è una plasmabilità, nella vicenda israeliana di questi primi settant'anni, sconosciuta a chi viva in Paesi dalla tradizione più lunga, dalle burocrazie secolari, cresciute strato dopo strato, regime dopo regime, negli stessi luoghi, spesso anche negli stessi edifici. Il sionismo, che del nuovo Stato è l'anima, si è posto l'obiettivo di rompere con il passato. Un nuovo rapporto con la terra, un nuovo coraggio, l'esaltazione della volontà di difendersi, sono gli slogan del movimento. Basta con la sottomissione nata in due millenni di esilio. Bisogna riprendere in mano il proprio destino e combattere per avere un posto tra le nazioni. Con l'aratro e se, necessario, con il fucile. La novità di questo atteggiamento non cancella però un dato altrettanto importante. Se vogliamo restare al testo della Scrittura, il "giorno" di cui parliamo è uno solo. La sera e la mattina d'Israele sono legate l'una all'altra. La fondazione dello Stato, nel 1948, riprende la storia dal punto in cui questa si era interrotta. Riprende cioè l'esistenza di una polis ebraica nell'unico luogo in cui questa è mai stata possibile, ovvero nella Terra d'Israele. Nell'immaginario israeliano, le rovine di Massada occupano ancor oggi ungrande rilievo simbolico. I resti dell'insediamento, sull'altura che si affaccia sul paesaggio sconfinato del Mar Morto, servono come memoriale dell'ultima resistenza ebraica, durante la rivolta contro Roma, del 66-74. Qui si asserragliarono gl'irriducibili, dopo che il Tempio di Gerusalemme era stato distrutto nello e la capitale conquistata. A Massada, gli assedianti romani dovettero realizzare una lunga rampa offensiva, prima di poter catturare il forte. Per decenni, le reclute dell'esercito israel iano sono venute qu i per l a cerimonia di giuramento dopo il loro addestramento. Si può discutere sulla costruzione di simboli identitari, che segnano un passato comune, o che spesso lo costruiscono artificialmente. E si può accusare questa celebrazione di retorica. La sostanza non cambia. La continuità ebraica esiste, ed è documentata da una storia specifica, singolare. Il fiume carsico, che dagl i ultimi sussulti d'indipendenza, nel II secolo, porta dritto al 1948, scorre nascosto, ma non per questo meno eloquente. Dopo il 135 dell'era volgare, al tempo della nuova e nuovamente fallita rivoltaantiromanadiBarKokva, il giudaismo ha abbandonato l'opzione politica. Non per scelta, ma semplicemente perché questa non era più possibile. Non si poteva vincere contro i Romani, non contro i Bizantini. Non era possibile opporsi alla Persia né al potere militare musulmano, che nelle sue varie forme, e con la breve interruzione crociata, è durato qui dal VII al XX secolo. È un abbandono che riflette i rapporti sul terreno, la capacità di mobilitare risorse, l'organizzazione militare. Non basta amare un Paese o ritenersi in diritto di autodeterminarsi. Bisogna potere, e gli ebrei, nella terra che ancora abitavano nel I e II secolo, semplicemente non hanno più potuto. È per questo che il 1942 segna una ripresa almeno quanto un nuovo inizio. Segna la ripresa del potere di autodeterminazione politica. Il progetto di una nuova nazione, le mutate condizioni internazionali, il postcolonialismo sono modi diversi per esprimere questo passaggio, dopo quasi due millenni di latenza. Abbiamo parlato di fiume carsico. Cosa significa questa lunghissimo tragitto invisibile della polis ebraica? Ci sono vari modi  per difendere un'identità collettiva. Lo si può fare in presenza o in assenza. Una comunità può continuare ad abitare in uno stesso luogo, governarsi da sola, poi venir sottomessa, difendersi da chi la minaccia oppure aprirsi, trasformarsi, assimilarsi. Il luogo è restato il medesimo, la comunità si è trasformata, talvolta è diventata irriconoscibile. Ha cambiato fede religiosa, lingua, costumi, opinioni. Talvolta i resti del passato sono evidenti talaltra paiono trascurabili. Se prendiamo una durata di due millenni, la continuità in presenza, negli stessi luoghi e in un paesaggio di fondo che non cambia, non significa necessariamente che la polis originale sia durata né che la primitiva identità sia intatta. L'ebraismo, proprio per il suo lunghissimo non-potere politico, ha dovuto scegliere il metodo in assenza. È la storia della diaspora, in cui la determinante geografica è instabile, provvisoria, mutevole. Il luogo, la cornice svaniscono, si trasforI 14 MAGGIO 1948 • Dopo la seconda guerra mondiale e la Shoah, anche per cercare di porre rimedio agli scontri tra ebrei e arabi, il 29 novembre 1947 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella risoluzione n.181 approvava con una maggioranza di due terzi il piano di partizione della Palestina che prevedeva la costituzione di due Stati indipendenti, uno ebraico e l'altro arabo. II pianofu accolto con favore dagli ebrei, ma osteggiato dagli arabi. Alla vigilia della scadenza del mandato britannico, il 14 maggio 1948, il presidente del Consiglio nazionale ebraico David Ben-Gurion proclamò la fondazione dello Stato di Israele. ¦ Gli arabi considerarono la creazione dello Stato ebraico un atto di forza: truppe dei Paesi arabi circostanti attaccarono il nuovo Stato iniziando la lunga stagione degli scontri militari. mano, di generazione in generazione, o più volte nella stessa vita. In queste condizioni, l'identità si lega ad altri ormeggi. Le ancore ebraiche sono state, per lunghissimo tempo, l'osservanza dei precetti, la lingua, lo studio, la memoria della tradizione. Essere diversi, magari indicati a dito, cacciati, discriminati, ecco un altro confine, patito, sì, ma pur sempre tangibilissimo. I confini in assenza sono fisici ma anche mentali, o simbolici. La Terra d'Israele è stata ed è tuttora, anche per chi non vi abiti, una di queste frontiere assenti-presenti. Mai riavuta, poiché riaverla era impossibile. Sempre desiderata, poiché desiderarla era indispensabile. Chi pensa che lo Stato d'Israele sia un'invenzione moderna, ultimo arrivato tra i nazionalismi del tardo Ottocento e del primo Novecento ha allo stesso tempo ragione e torto. Ha ragione, poiché il sionismo ha precise radicistoriche e culturali. Ma ha anche torto, giacché un'identità in assenza permette di proiettare nella dimensione temporale ciò che le identità in presenza sperimentano nello spazio. La diaspora ebraica ha abitato Israele nel tempo, proprio perché non poteva farlo nello spazio. Non che non ne avesse la volontà, non ne aveva il potere. Quando ha potuto riavere il luogo di questa dimora, ha ricominciato ad abitarlo spazialmente. E a far funzionare di nuovo la polis come entità non più solo mentale e rituale, ma dotata dei suoi attributi di città-stato. II titolo originale del romanzo-manifesto di Theodor Herzl, uscito nel1902, èAltneuland.In italiano sarebbe "Vecchia terra nuova", o qualcosa del genere. Ma in realtà è intraducibile, poiché la nostra lingua non ha l'efficacia espressiva dei composti tedeschi. Il Paese è un tempo vecchio e nuovo. Vecchio nello spazio, nuovo nel tempo. Oppure nuovo nello spazio e vecchio nel tempo. Ciascuno può scegliere quale significato dargli, dal 14 maggio di settant'anni fa.

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