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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
07.09.2014 Bernard Berenson, storia di una vita, conversione compresa
Commento di Alvar Gonzales-Palacios

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 07 settembre 2014
Pagina: 25
Autore: Alvar Gonzales-Palacios
Titolo: «Berenson e l'ebraismo»

Riprendiamo dal SOLE24ORE/DOMENICA di oggi, 07/09/2014, a pag.25, con il titolo "Berenson e l'ebraismo", il commento di Alvar Gonzales-Palacios.


Alvar Gonzales-Palacios   Bernard Berenson

Il 26 giugno 1865 Bernhard Valvrojenski nacque a Butrymancy in Lituania, figlio di una coppia di giovani sposi ebrei non ancora ventenni. una decina di anni più tardi la famiglia si trasferì negli Stati Uniti, a Boston, dove mutarono, come allora spesso era d'uso fare, il loro cognome in quello di Berenson. Nel 1884 Bernhard Berenson iniziò i suoi studi nell'Università di Harvard e un anno dopo siconvertì al cristianesimo (durante la Grande Guerra tolse la h tedesca del suo nome e divenne Bernard). In quell'epoca conobbe una donna intelligente e assai ricca, Isabella Stewart Gardner, uno degli incontri fondamentali della sua vita. Mrs Gardner fu fra i primi ad aiutare la carriera del giovane che già nel 1887 è in Europa: vi resterà per sempre, a Firenze, dove morì nel 1959. I rapporti tra Berenson e Isabella furono lunghi e complessi ed ebbero un risultato formidabile, il museo che reca il nome della signora, a Boston. Quella di Rachel Cohen è una nuova biografia di Berenson - non la più esauriente e forse nemmeno la più originale, ma con diversi punti a suo favore. Uscita qualche mese fa presso la Yale Universi-ty Press, esamina infatti la personalità di uno dei maggiori storici dell'arte di ogni epoca da un punto di vista inconsueto, soffermandosi attentamente sui suoi rapporti con l'ebraismo. A chi conosca la bibliografia e la storia della vita di BB (come veniva spesso chiamato) non sfuggirà quanto debba essere stato arduo per lui convivere con le proprie origini razziali: era giunto negli Stati Uniti come un povero emigrante e solo con una fatica colossale, una folgorante intelligenza e un grande carisma personale riuscì a diventare uno degli uomini più famosi della sua epoca. Non solo famoso ma anche ricco e centro di una vita sociale invidiata da molti e non raggiunta da nessun suo collega, forse con l'eccezione del tedesco Wilhelm von Bode - non a caso venivano chiamati il papa e l'imperatore della storia dell'arte. Stando all'autrice, Boston non era la città adatta per fare una carriera brillante nella grande società: gli ebrei non erano sempre ben accetti e a Harvard stessa c'erano allora pochi allievi e nessun professore ebreo. L'unico correligionario famoso di Berenson fu Charles Loeser: affabile e di famiglia facoltosa, divenne un grande conoscitore dell'arte italiana e visse anche lui lungamente a Firenze, città alla quale lasciò alcuni capolavori conservati a Palazzo Vecchio. L'altro grande collega di Berenson fu lo spagnolo George Santayana, cattolico e non protestante, pensatore e saggista ma non sempre in rapporti idilliaci con lui: un enemy friend. Due furono i professori che contarono nella formazione di Berenson. Charles Elliot Norton, lo amò senza amarlo e una sua frase ferì BB a vita: «ha più ambizione che capacità» (more ambition than ability). Non pago, anni dopo, Norton firmò una recensione, sciocca e al vetriolo, della eccellente monografia dell'allievo su Lorenzo Lotto. Con il secondo maestro le cose andarono benissimo. Parlo del fratello di Henry James, William, famoso anche lui ma in un campo diverso, quello della psicologia: ricambiò sempre l'ammirazione dell'allievo aiutando, incoraggiando e dicendone ogni bene. È probabile che uno degli ultimi volumi di Henry James, The Outcry, sia ispirato al critico d'arte ormai molto affermato. Non è molto noto che la tesi sostenuta da Berenson a Harvard trattasse sull'Escatologia talmudo-rabinica. Non è mia intenzione soffermarmi su un'opera di cui nulla saprei dire ma vorrei indicare come essa dimostri che i rapporti con il suo passato non fossero così ipocriti come si è spesso detto. Già allora il giovanissimo BB aveva una notevole cultura classica che indudeva la conoscenza approfondita dell'ebraico, del greco edel latino. Ignoro anche un altro suo scritto di quel momento, un singolare racconto, The Death of Israel Koppel, in parte autobiografico. Israel Koppel è un giovane ebreo che, dopo alcuni anni in una famosa università, ritorna al suo villaggio natale in Lituania dove dopo una morte apparente viene seppellito vivo. La parola koppel, che in tedesco significa guinzaglio o steccato, chiarisce il senso della storia: tornare alle origini può diventare una terribile prigione. Molti esuli possono intuire l'incubo del ritorno: quella di Berenson non era solo una fantasia. In America e nel mondo occidentale esisteva allora (e forse esiste ancora oggi) un marcato antisemitismo. Assai presto, in Inghilterra, Berenson divenne buon amico di un uomo geniale, che era anche membro di una grande famiglia, Bertrand Russell. Ciò non impedì al filosofo di deprecare in una lettera alla futura moglie come avrebbe preferito se l'amico «non si prendesse quelle libertà che spesso gli ebrei si permettono, di toccarci e di metterci continuamente le mani sulla spalla». Berenson voleva ad ogni costo essere un aristocratico e lo divenne vivendo sempre in un certo fasto, fra quadri squisiti e una straordinaria biblioteca in una villa circondata da bei giardini e conoscendo chiunque valesse la pena di essere conosciuto nel mondo di allora. Una delle persone determinanti per la sua formazione fu Oscar Wilde, incontrato da BB nel 1891 a Londra quando aveva ventisei anni. Non sono del tutto chiari i rapporti fra Berenson e il grande artista e quel che egli ne scrisse verso la fine della sua vita è probabilmente una versione modificata col tempo. Berenson racconta di aver detto a Wilde quanto trovasse orribile Il ritratto di Dorian Gray. Non credo che le cose siano andate in realtà così e so che l'edizione originale del libro, tenuta in grande conto da Berenson, venne da lui lasciata in suo ricordo a Sir Harold Acton. Certamente un giovane ancora molto giovane non poteva che essere lusingato dall'attenzione di uno scrittore celeberrimo. L'autrice dà credito a quanto scrisse un amico di Berenson, Henry McIIhenny: il vecchio saggio gli avrebbe raccontato, non senza una certa civetteria, di aver destato mezzo secolo prima l'appetito del grande sibarita. Già attorno al 1890 Berenson è in carriera e ad aiutarlo fu ancora Isabella Gardner, di cui finirà per diventare lo straordinario consigliere artistico. Fu lui ad indicargli i suoi migliori acquisti, fra cui uno dei quadri più belli del mondo Il Ratto d'Europa di Tiziano, proveniente dalle collezioni reali spagnole e da Carlo I di Inghilterra. In Italia BB avvicinò Giovanni Morelli e i maggiori esperti di dipinti riuscendo ad evolvere un suo personale metodo per intendere la pittura italiana, di cui divenne il migliore conoscitore dell'epoca. In quegli anni venne presentato a Mary Costello che diventerà prima sua amante, poi sua moglie, sempre una formidabile assistente, consulente sociale e letteraria. Mary era una donna molto colta, una notevole scrittrice, sorella del noto stilista della lingua inglese Logan Pearsall Smith, americano ma già parte del sancta sanctorum della letteratura a Londra. Tutto ciò ebbe un salutare influsso su Berenson, tormentato dai problemi linguistici di un uomo che parlava una mezza dozzina di idiomi ma non era del tutto a suo agio in nessuno di essi. La scrittrice, sua amica, Vernon Lee, gli manifestò senza sotterfugi di dover imparare a scrivere bene: la sua perspicacia, la sua conversazione, le sue parole davanti alle opere d'arte meritavano un'espressione letteraria più degna che egli non aveva ancora raggiunto. Con l'aiuto di moglie e cognato Berenson riuscì a scrivere i quattro piccoli volumi che restano alla base della nostra percezione del Rinascimento italiano. Siamo ormai agli inizi del Novecento, Berenson vive a Firenze, ai Tatti, la sua casa alle porte della città, dove si parlava ufficialmente l'inglese che era soltanto la lingua di Mary, ma non era veramente la lingua di molti ospiti e nemmeno quella del padrone di casa, vissuto in America poco più di una dozzina d'anni. BB diventa l'ago della bilancia fra mercanti, collezionisti e musei. I suoi rapporti col danaro sono ancora più complicati di quelli con le sue origini ma occorre molto ingegno e molta persistenza per diventare una leggenda vivente. Forse potremmo ricordare quanto un altro grande storico dell'arte scrisse di lui: «gli devo molto di più di quanto possa dire e forse più di quanto io stesso pensi».

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