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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
30.09.2012 Un nuovo libro in italiano di Emmanuel Levinas
Presentato da Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 30 settembre 2012
Pagina: 33
Autore: Emmanuel Levinas, a cura di Giulio Busi
Titolo: «La volontà ? Pericolante e poco eroica»

Sul SOLE24ORE, supplemento 'Domenica', di oggi, 30/09/2012, a pag.33, con il titolo "La volontà ? Pericolante e poco eroica", Giulio Busi presenta il libro di Emmanuel Levinas "Parole e silenzio e altre conferenze inedite al Collège philosophique":

Emmanuel Levinas

Introduzione di Giulio Busi:

Eroica, elegante, invincibile. «Volontà», senza aggettivi, o «Volontà di potenza», da Schopenhauer a Nietzsche e fino al pieno Novecento: sempre lei, l'ultima dea guerriera di un mondo ormai laico, padrona dei destini filosofici, delle illusioni e dei fatali deliri della modernità. Anche le figlie del cielo hanno però i loro momenti di debolezza. Forse è stata la guerra, o forse l'hanno sopraffatta le ingiurie del tempo, fatto sta che, un brutto giorno, s'è trovata sporca di terra e lacrime. Persa la sua iniziale dorata, è rimasta una «volontà» quotidiana, alle prese con l'unico, vero possesso dell'uomo. Il dolore.
Le Conferenze al Collège philosophique di Emmanuel Levinas, che escono ora per Bompiani, sono cariche di saggezza e di forza dialettica. Meriterebbero di essere lette anche solo per l'idea nuova e morale di volontà che propongono. Se quella nietzschiana era pura energia, dionisiaca e inarrestabile, la volontà di Levinas è facoltà precaria, assillata dal tempo. Libertà sofferente, incalzata da vicino dalla morte. Come pretendere di volersi liberi, quando la fine ci scruta con i suoi occhi vuoti? «Ma la morte non è subito», scrive Levinas, e su questa dilazione, sul leggero ritardo in cui si consuma tutto il nostro destino, costruisce un precario castello di carte. Volontà in equilibrio, pericolante sul «non subito», pronta a crollare al primo soffio. Volontà che prende tempo, anche solo un attimo, per realizzarsi. Volontà che fa la spola tra la fine ineludibile e quel pochissimo che ancora resta. Con questa sabbia arida, la volontà levinasiana misura la distanza. Fata morgana o febbre di chi si è smarrito per via, ciò che la volontà vede non è certo la propria vittoria. La volontà di Levinas non è desiderio di potenza.
«La volontà umana non è eroica». È solo umana, e questo è già molto.

Ecco uno stralcio di Emmanuel Levinas, «Parole e silenzio e altre conferenze inedite al Collège philosophique», a cura di Rodolphe Calin e Catherine Chalier, edizione italiana a cura di Silvano Facioni (Bompiani, Milano, pagg. 392, € 25,00).

La morte è la violenza per eccellenza e la violenza inevitabile. E vista a partire da questa morte – o nell'eternità – la volontà che abita il mondo non è che un oggetto tra gli altri, prodotto dalla terra e che alla terra ritorna. La volontà nell'altro, che la ospita e attraverso la quale essa è a casa sua /presso di sé, non è una libertà finita. È virtualmente una libertà nulla.
Ma la morte non è subito. E nel frattempo il mondo umano esiste ... nell'equivoco fondamentale del "contro la morte" e del "per la morte" di ogni istante del tempo, per la morte in cui si perde l'esistere, ma contro la morte in cui si ha il tempo di fare alcune cose.
La volontà in effetti è essenzialmente violabile. Il tradimento, l'abdicazione è la sua essenza mortale. ... La volontà umana non è eroica. La mortalità non è una marca interiore della volontà ma l'effetto di una violenza di queste stesse cose di cui la volontà vive, il cibo che manca, il corpo che soffre per la lama che ferisce. ... La coscienza appare allora come sempre refrattaria alla tirannia a cui la volontà rischia di soccombere e questo vuol dire come lasciandoci il tempo di fronteggiare la tirannia. La vera libertà umana è nel futuro della sua non libertà, vale a dire nella coscienza, nella previsione della tirannia onnipotente, di conseguenza nella coscienza dell'inconsistenza della libertà, ma per questo nel tempo che ancora le resta. La coscienza è proprio avere tempo.
Non debordare il presente nel progetto che anticipa l'avvenire, ma nel fatto di avere una distanza riguardo al presente: è questo avere tempo. Avere coscienza è avere tempo, rapportarsi all'essere e alla sua pressione mortale come a un avvenire, mantenere una distanza nel contatto stesso della pressione. La libertà è avere tempo per fronteggiare la tirannia. ... La coscienza è essenzialmente la possibilità della morte per malattia. La minaccia è dunque il modo stesso della coscienza nella misura in cui coscienza significa una volontà libera nell'essere che non è mai compiuto per questa volontà. Ma proprio perché questo essere è per sempre incompiuto, la coscienza è lavoro, possibilità offerta alla volontà di fronteggiare la minaccia, di fare qualcosa nel mondo materiale o di organizzare la società. Il sentimento per eccellenza è la paura ma proprio perché la paura mira un male futuro, essa è sempre speranza. La situazione eccezionale in cui il male, sempre futuro, diviene presente è la sofferenza, detta fisica.
È qui che la negazione soltanto futura della volontà nella paura diviene presente, è qui che il mondo tocca la volontà. La sofferenza è l'azione della realtà sull'in sé della volontà. La sofferenza è essenzialmente ambigua: in un certo senso essa è, come coscienza, sempre ancora l'avvenire del male, ma d'altra parte essa è già il presente del male che agisce sul per sé della volontà.
Per questo la sofferenza è il limite del sentimento. È disperata. Vira in sottomissione totale alla volontà d'altri. È appello alla volontà d'altri. Questo appello alla volontà d'altri per la soppressione del male è l'appello alla medicazione. Ma d'altra parte rimane una distanza riguardo al male attraverso la sua stessa coscienza e, di conseguenza, può virare in volontà eroica.
Per questo la sofferenza è uno stato privilegiato. La morte è sempre futura – c'è sempre una distanza tra la morte e noi – la sofferenza al contrario realizza nella volontà la prossimità estrema dell'essere che minaccia la volontà: noi siamo presenti in questa virata dell'io in cose; noi siamo a un tempo infinitamente cosa, ma se non siamo cadaveri, è perché concepiamo la distanza. La sofferenza è la suprema violenza che ci colpisce come volontà, poiché, ancora, noi possiamo sia assumere la violenza, sia prendere posizione nei suoi confronti. Il futuro che diviene presente; la coincidenza totale tra l'uomo e il mondo, una volontà che abdica ma ancora minimalmente distante da tale abdicazione – prova suprema della libertà la cui abdicazione è inscritta in essa – ecco l'istante supremo della sofferenza. La prova suprema della libertà non è la morte, ma la sofferenza.

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