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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
20.05.2011 Le rivoluzioni del mondo arabo non sono democratiche e sono legate alla sharia
Affermarlo non significa che la Turchia sia un Paese democratico

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 20 maggio 2011
Pagina: 11
Autore: Vittorio Da Rold
Titolo: «Ankara non è un modello per le proteste della regione»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 20/05/2011, a pag. 11, l'articolo di Vittorio Da Rold dal titolo "Ankara non è un modello per le proteste della regione".


Seyfi Tashan

Ha ragione Seyfi Tashan, presidente del Foreign Policy Institute di Ankara quando sostiene che " la maggioranza delle forze di opposizione di Siria, Egitto e Yemen si ispirano ai Fratelli musulmani, movimento che guarda alla sharia, la legge islamica come fonte primaria del diritto ". Ma non si può scrivere altrettanto quando sostiene che per questo motivo la Turchia non può essere considerata il loro modello da momento che essa sarebbe laica e democratica.
Il signor Tashan non vede che cosa succede nel proprio Stato? Non è informato dei processi agli scrittori, della negazione del genocidio degli armeni, della limitazione del potere dei militari (unici veri garanti della laicità e della democrazia turca), della situazione di Cipro, del fatto che la Turchia sia entrata nell'orbita iraniana e che abbia preferito far deteriorare in maniera irreparabile i rapporti con Israele? E la censura su Internet che sta per entrare in vigore ?
Turchia laica e democratica? Ai tempi di Kemal. Ormai è solo un pallido e debolissimo ricordo.
Ecco l'articolo:

«La Turchia non è un modello per i movimenti di protesta in Siria, Yemen ed Egitto perché noi siamo laici e democratici mentre la maggioranza delle forze di opposizione di quei Paesi arabi si ispirano ai Fratelli musulmani, movimento che guarda alla sharia, la legge islamica come fonte primaria del diritto», dice Seyfi Tashan, presidente del Foreign Policy Institute di Ankara, maggiore think tank di politica estera turco.

L'intervista a Tashan si svolge a margine del convegno Ispi a Milano su "Turchia, alleato perduto o modello per la regione?", che inizia con un collegamento video del ministro turco per gli Affari europei, Egemen Bagis da Ankara che ribadisce la determinazione del Paese di diventare membro Ue e invita a sbloccare i 35 capitoli della trattativa fermi per l'opposizione di Francia e Cipro. Tra i relatori l'ex ambasciatore italiano ad Ankara, Carlo Marsili, Aldo Kaslowski, presidente di Tusiad international, Giuseppe Castelli, consigliere all'internazionalizzazione di Assolombarda, Roberto Luongo, direttore del dipartimento promozione Ice.

«Molti pensano che la laicità turca deriva da Kemal Ataturk - dice Tashan -. In realtà il secolarismo è un processo che inizia molto prima e per questo è così radicato. La nostra legge si ispira al diritto romano non alla sharia e questa è la differenza sostanziale che impedisce alle forze d'opposizione della "primavera araba" di guardare alla Turchia come modello». «Alcuni di questi Paesi hanno avuto dei dittatori che cercavano di imitare Ataturk ma erano corrotti. Bisogna separare l'arabismo dall'Islam, in questo senso la Turchia non è un modello per questi movimenti».

Poi Tashan passa al dossier europeo. «L'Europa deve decidere se vuole diventare una potenza globale (il che si può ottenere solo con l'ingresso turco nell'Ue) o se vuole restare marginale». Secondo Tashan se l'Europa vuole diventare una potenza allora deve tenere a bada i risorgenti nazionalismi francesi e tedeschi. Cipro alla fine non è un problema.

Dopo la Ue Tashan passa ad analizzare la politica americana che nel Medio Oriente si esplica nell'appoggio agli alleati, in primis Israele, e nel garantire le forniture di petrolio. Secondo Tashan occorre invece «affrontare innanzitutto la questione palestinese, facendo pressioni su Israele». Poi rilanciare l'Euro-Mesco, cioè la cooperazione di sicurezza euro-mediterranea. «Il Mediterraneo oggi non è controllato dai Paesi dell'area e il processo di Barcellona non funziona», dice Tashan. Infine il professore sgombra il campo sulla svolta neo-ottomana che non è una politica estera di ritorno allo scontro con i Paesi confinanti. «È solo la definizione di un'area geografica di interessi». Non c'è nessun «romantico ritorno a un passato di grandeur dell'impero ottomano».

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