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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
09.04.2011 Barhein: Ma la cronaca non basta per capire
Perchè Ugo Tramballi non legge Mordechai Kedar ?

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 09 aprile 2011
Pagina: 10
Autore: Ugo Tramballi,
Titolo: «La primavera del Barhein soffocata dai carri armati»

Sul SOLE24ORE di oggi, 09/04/2011, a pag.10, una corrrispondenza dal Barhrein di Ugo Tramballi, dal titolo " La primavera del Barhein soffocata dai carri armati ". Peccato che a Tramballi non suggerisca nulla l'affermazione di Hassan Nasrallah, capo delle milizie Hezbollah in Libano, che lo stesso Tramballi cita "«Il sangue e le vostre ferite sconfiggeranno il tiranno» diceva qualche giorno fa Hassan Nasrallah, il capo della milizia sciita libanese, esortando l'opposizione del Bahrein a non fermarsi."
Che re e presidenti degli stati musulmani siano dei tiranni è una verità che solo i giornaloni hanno evitato di scrivere (nevvero, caro Tramballi?), adesso se ne accorgono, ma non riescono ancora a capire ciò che sta avvenendo. Si rileggano le analisi di quegli esperti che la regione conoscono bene, non velati da nessuna ideologia politicamente corretta. Si leggano Mordechai Kedar, i suoi articoli, quanto mai illuminanti, si trovano in italiano su IC (la sua rubrica è in Home Page, a sinistra). Forse, dopo,  capiranno.


Mordechai Kedar

Ecco l'articolo:


Ugo Tramballi     Barhein

«E perché vuole entrare?», chiede l'ufficiale. Non è una domanda, non prevede risposta. Il divieto è sottinteso. L'ospedale Salmaniya, il più grande del Bahrein, è presidiato come fosse una base militare. Soldati a tutti gli ingressi, decine di bandiere e un grande ritratto di re Hamad, come su un territorio riconquistato.

Ma è un ospedale. Per questo l'altro ieri un rapporto di Medici senza frontiere ha accusato il Governo di utilizzare «le strutture mediche come esche per identificare e arrestare coloro che vi si recano in cerca di cure». L'ospedale non è più un'area imparziale ma uno «strumento per reprimere i dissidenti». Il Governo ha risposto affermando che all'inizio dei tumulti, a febbraio, erano stati i manifestanti a trasformare Salmaniya in un campo di battaglia. Medici senza frontiere non lo nega ma si chiede perché l'ospedale debba continuare ad esserlo.
Come si è arrivati a questo nel Paese che il locale Economic Development Board sei mesi fa pubblicizzava come «una società aperta, tollerante e accogliente»? Se si chiama normalità, sul Bahrein è tornata la calma. A pochi passi dal cuore di Manama, la capitale, c'è un accampamento militare grande come i due vicini mega centri commerciali. Tende, mezzi cingolati, carri armati da guerra totale nel deserto. Per fermare le proteste, la settimana scorsa il regime siriano aveva annullato il venerdì come giornata di festa. Qui hanno raso al suolo piazza della Perla, la grande rotatoria che i dimostranti avevano trasformato in luogo permanente della protesta. Spazzata via: il monumento con la perla, i lampioni, le strade. Solo mezzi militari dispiegati come in attesa di un nemico armato allo stesso modo.

Diversamente dalla Siria e dallo Yemen, ieri è stato un venerdì tranquillo in Bahrein. Per quanto sia dato di sapere. C'è lo stato d'emergenza decretato per tre mesi. Da quando più di mille soldati sauditi e di altri Paesi del Consiglio di sicurezza del Golfo sono entrati ad aiutare i 9mila militari locali, gli oppositori non rispondono al telefono, sono introvabili. Nei villaggi sciiti fuori Manama non c'è nessuno che si avventuri nel timore che l'esercito sequestri l'auto o che i giovani più radicali tirino sassi.
Non sarebbe stato difficile evitare la crisi. Il Bahrein ha un milione e 200mila abitanti. Gli indigeni sono 780mila: il 68% sciiti e meno del 30 sunniti. Ma sunnita è la monarchia, sunniti i ministri e i generali, l'80% dei funzionari pubblici, 62 deputati su 80. I ricchi sono sunniti, i poveri sciiti. L'opposizione chiedeva una monarchia costituzionale, più libertà civili. Il principe ereditario Salman, considerato un riformista, era pronto ad ascoltare. Il re Hamad al-Khalifa no. In una regione surriscaldata dalla richiesta di cambiamento, non ha sostituito nemmeno il cugino, premier dal 1971. C'è stata la repressione, i morti, i soldati sauditi, le accuse iraniane; i giovani più radicali hanno incominciato a invocare la repubblica. E quella che era una questione possibile di democrazia locale si è trasformata in crisi internazionale senza soluzione; in un confronto fra Arabia Saudita e Iran, fra mondo sciita e sunnita. Dal Bahrein parte una faglia che divide il Golfo, sale in Kuwait, in Iraq, attraversa la Siria fino al vulcano libanese. «La lunga guerra fredda fra Iran e Arabia Saudita si sta lentamente trasformando in una serie di conflitti reali», dice Salman Shaikh, il direttore del Centro di studi mediorientali che la Brookings Institution di Washington ha aperto a Doha. «La situazione diventa sempre più instabile: anziché cercare un dialogo, in troppi tentano di sfruttarla».

Cresce la retorica, anche i leader religiosi delle due sette rilasciano dichiarazioni sempre più combattive. Una scuola coranica moderata come quella sciita di Najaf, in Iraq, ha usato toni da guerra santa. Gli ulema sunniti del Libano hanno risposto allo stesso modo. È difficile che Iran e Arabia Saudita entrino in guerra. Ma che sciiti e sunniti rendano più ingovernabile l'Iraq, che a Beirut Hezbollah e Saad Hariri tornino alle armi, è possibile. «Il sangue e le vostre ferite sconfiggeranno il tiranno» diceva qualche giorno fa Hassan Nasrallah, il capo della milizia sciita libanese, esortando l'opposizione del Bahrein a non fermarsi.
Ma con i carri armati che si fanno strada nel traffico, l'ordine ora è tornato a Manama. Mancano i turisti sauditi che a ogni weekend attraversavano con le tasche piene di soldi i 16 chilometri di autostrada sul mare fra i due regni. Ieri sera la gente del posto è tornata alle luci di Exibition road e Juffair ma non riesce a riempirne i troppi ristoranti. Da fuori, dai villaggi sciiti, non si hanno informazioni. La calma è tornata con la paura, non col dialogo. I problemi sono quelli di prima con più ostilità e distacco fra le due comunità.

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