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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
23.01.2011 Lo shekel in rialzo, successi e problemi dell'economia israeliana
Il commento di Riccardo Sorrentino

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 23 gennaio 2011
Pagina: 7
Autore: Riccardo Sorrentino
Titolo: «Israele, lo shekel in rialzo rischia la 'malattia olandese'»

Sul SOLE24ORE di oggi, 23/01/2011, a pag.7, con il titolo " Israele, lo shekel in rialzo rischia la >malattia olandese< ", Riccardo Sorrentino analizza successi e problemi dell'economia israeliana.


banconote israeliane                          Stanley Fischer, pres. Banca d'Israele

Cosa chiedere di più? Una recessione leggera, un'agile uscita dalla crisi, e ora una crescita robusta: Israele potrebbe dormire - sul piano economico - sogni tranquilli. Se non fosse per lo shekel, che minaccia di apprezzarsi sempre di più. È una storia udita molte volte, in questo periodo. Israele però non è - non più - un paese emergente come la Cina o il Brasile, alle prese con pressioni simili. È stata promossa dai mercati tra i paesi ricchi, ed è ormai sulla frontiera dell'innovazione grazie anche alla tradizionale attenzione del popolo ebraico per l'istruzione e la cultura e l'urgenza di sviluppare un apparato militare avanzato. La vicenda dello shekel è quindi in parte diversa da quella, per esempio, del real. Soprattutto se si punta lo sguardo lontano. Israele è sicuramente un paese esportatore (soprattutto di prodotti hi-tech), dipendente dalla domanda estera, come la Cina; e come il Brasile è "vittima" della liquidità globale, alla spasmodica ricerca di investimenti redditizi. L'ultima, sorprendente, decisione della Banca centrale, l'aumento delle riserve obbligatorie, ha così riguardato non i depositi - come avviene in circostanze normali - ma i derivati (swap e forward) sulla valuta; mentre le nuove regole di trasparenza vogliono far luce sugli investimenti esteri in makams, i titoli di stato a breve. È stata un'operazione chirurgica che ha puntato direttamente alla causa dell'apprezzamento dello shekel, resistente anche ai numerosi interventi di mercato della banca centrale che ha così aumentato le sue riserve del 140 per cento negli ultimi mesi. Ma è davvero così sopravvalutata, la valuta? Non sembra: «Il cambio reale è appena sopra il livello del 2000, se si usa il deflatore del Pil (come misura di inflazione, ndr), ed è quasi il 10% più basso se si usa l'inflazione al consumo, ma dal 2000 l'economia israeliana ha fatto meglio dei partner, almeno del 20%: lo shekel è quindi ancora sottovalutato, da una prospettiva di crescita di lungo periodo», spiega Miroslav Plojhar di JPMorgan. Perché preoccuparsi, allora? Perché dietro lo shekel ci sono forze potenti e strutturali che spingono il cambio in alto, e il mercato finanziario, più veloce di quello "reale", potrebbe anticipare con troppa rapidità queste tendenze. Il surplus con l'estero promette di aumentare, anche se la politica monetaria sta sostenendo - non senza qualche rischio di inflazione o di bolla - la domanda interna. E in prospettiva il paese potrebbe diventare esportatore anche nel settore energetico: i due giacimenti di gas (Tamar e Leviathan) da poco scoperti richiederanno tempo per essere sfruttati, ma promettono di trasformare l'intera economia del paese. Non sempre in positivo. «Una volta che la storia del gas naturale inizierà a materializzarsi, è molto probabile che lo shekel incontrerà ulteriori pressioni al rialzo», spiega Tevfik Aksoy di Morgan Stanley. Con esiti anche pericolosi: il cambio rifletterà soprattutto l'andamento del settore minerario, raggiungendo livelli incompatibili con il resto dell'economia. Anche questa è una storia già udita, quella della Dutch disease, la "malattia" che colpì l'Olanda negli anni 60, anche in quel caso con la scoperta di giacimenti di gas. «L'impatto di questa conversione dell'economia - dice Plojahr - sarà probabilmente neutralizzata dalla creazione di un fondo sovrano, come quello norvegese», che trasformi la ricchezza mineraria in finanziaria e la isoli parzialmente dal resto dell'economia per evitare "inondazioni". Sarà un cuscinetto contro tutti i pericoli: come sottolinea Aksoy, già oggi le riserve valutarie, a quota 70 miliardi - decisamente molto rispetto alle dimensioni del paese - sono una protezione anche «contro potenziali scenari di rischio geopolitico». Non è solo economia, soprattutto in Israele.

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