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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
30.12.2010 Il fiume Giordano è sempre più inquinato
Ugo Tramballi ne descrive l'agonia. A che cosa è dovuto tutto questo interesse?

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 30 dicembre 2010
Pagina: 10
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Per il Giordano in agonia morte annunciata nel 2011»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 30/12/2010, a pag. 10, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Per il Giordano in agonia morte annunciata nel 2011 ".


Il fiume Giordano, Ugo Tramballi

Il Giordano è inquinato, purtroppo non è una novità.
Tramballi riporta le dichiarazioni di Munqeth Meyhar, il presidente di Foeme: Friends of the Earth Middle East, il quale elenca tutte le cause che hanno portato a questa situazione. Sono tutti colpevoli ma, chissà come mai, Israele è sempre la prima fonte citata : "
Nella Valle del Giordano 6.200 coloni israeliani usano illegalmente il 60% delle terre agricole e l'80 dell'acqua.". La solita litania di Israele ladro di risorse idriche e assetatore di poveri contadini palestinesi non poteva mancare in un pezzo di Tramballi. Comunque Meyhar continua : " Quel che resta è disputato fra 70mila palestinesi. Una volta lo Yarmuk, a sud del lago di Galilea, portava nel Giordano 480 milioni di metri cubi l'anno. Ora nemmeno una goccia perché nel loro territorio i siriani hanno costruito 20 dighe. Gli agricoltori giordani non sono migliori. Anche dai villaggi palestinesi arrivano liquami senza controllo ".
Non è ben chiaro da che cosa derivi tutto l'interesse di Tramballi per il Giordano. Saremmo curiosi di conoscere le sue analisi sull'inquinamento di Tevere e Po. Se n'è mai interessato?
Ecco il pezzo:

Se le centinaia di migliaia di bottigliette di acqua santa del Giordano che invadono i suk di mezzo Medio Oriente non fossero riempite al rubinetto, sarebbero armi batteriologiche. Perché il Giordano non ha più acqua e la poca che ancora scende dal lago di Galilea al Mar Morto è liquame. Se le cose restano così, fra un anno resteranno uno stato giordano, una Cisgiordania ma non più un fiume con questo nome.

Quando il capitano della Marina americana William Lynch decise di esplorarlo, come ai tempi di Cristo navigò su un percorso impetuoso da un miliardo e 300 milioni di metri cubi d'acqua. Era il 1848. Oggi il 98% di quell'acqua apparentemente benedetta viene ogni giorno deviata. Ciò che resta è un melmoso scorrere di sostanze chimiche che gli agricoltori ributtano dopo essersi presi l'acqua pulita, aggiungendovi i liquami delle fogne israeliane, giordane e palestinesi. È semplicemente fetido il ruscello che scorre qui, a Wadi Harar, un chilometro a nord del Mar Morto: la parte giordana del fiume dove Gesù avrebbe incontrato il Battista. Avvicinandosi all'acqua se ne sente anche la puzza. Pochi pellegrini invasati - di solito i russi ortodossi o i cattolici filippini - hanno il coraggio d'immergersi.

I 75 chilometri dalle fonti al lago di Galilea, l'Alto Giordano, sono decenti. La tragedia incomincia da quando il fiume esce dal lago, lungo i 151 chilometri del Basso Giordano. In Israele sta per entrare in funzione un depuratore delle acque che escono dal lago. Verrà dunque pulito il 2% di liquami, ciò che resta delle acque impetuose di un tempo. E nessuno permetterà che tale ricchezza scorra secondo natura verso il Mar Morto. Aspireranno anche quella.

«Col clima politico di quaggiù sarebbe facile scegliere un responsabile e iniziare una nuova guerra dell'acqua. Ma non servirebbe a niente», dice Munqeth Meyhar, il presidente di Foeme: Friends of the Earth Middle East. «In realtà sono tutti colpevoli. Nella Valle del Giordano 6.200 coloni israeliani usano illegalmente il 60% delle terre agricole e l'80 dell'acqua. Quel che resta è disputato fra 70mila palestinesi. Una volta lo Yarmuk, a sud del lago di Galilea, portava nel Giordano 480 milioni di metri cubi l'anno. Ora nemmeno una goccia perché nel loro territorio i siriani hanno costruito 20 dighe. Gli agricoltori giordani non sono migliori. Anche dai villaggi palestinesi arrivano liquami senza controllo».

Foeme è una ong con sede ad Amman, Tel Aviv e Betlemme, parzialmente finanziata dall'Unione Europea: ecologisti giordani, israeliani e palestinesi insieme per salvare il fiume. In tempi come questi non è facile trovare interlocutori. I governi d'Israele, Giordania e Palestina sono scettici; in Siria Foeme non è riuscita a trovare un interlocutore. «Siamo in pace con Israele», spiega Meyhar. «Ma qui chi parla con loro è considerato un traditore dalle organizzazioni professionali, religiose e dagli intellettuali». Meyhar è un architetto e ogni anno fatica a rinnovare l'iscrizione al suo albo professionale.

Ma non è solo nazionalismo: l'acqua quaggiù vale più del petrolio. La riluttanza israeliana a ritirarsi dalla Cisgiordania dipende anche da due delle tre falde acquifere israelo-palestinesi che scorrono esattamente sotto le colonie. Quanto alla Giordania, solo tre paesi al mondo hanno meno acqua. E ora c'è anche la siccità che le ultime tempeste non hanno risolto. Ad Amman il ministero degli Affari religiosi aveva organizzato un Salat al-Istiqa, una preghiera nazionale per la pioggia: a migliaia nello stadio di Sport City.

Nell'attesa che intervenga Dio, Foeme propone una soluzione. Per salvare la biodiversità del Giordano servono al più presto 400 milioni di metri cubi d'acqua che dovrebbero rifornire i paesi interessati, ognuno secondo consumi: Israele 220, almeno 90 la Giordania e 30 la Palestina. «Il fiume è la linea di frontiera controllata da Israele: i palestinesi non hanno accesso. Ma vogliono partecipare per affermare che il Giordano è anche loro», dice Meyhar. Infine i siriani che dovrebbero garantire almeno 100 milioni d'acqua: ma a Damasco non c'è nessuno che ascolti.

Sperare che vicini cosi poco cordiali fra loro per motivi politici, per di più alle soglie di una siccità, si mettano d'accordo per ridare vita a un fiume, potrebbe essere un'ingenuità. «Con un uso razionale, limitando le perdite degli acquedotti tutti i popoli interessati potrebbero risparmiare un miliardo di metri cubi. L'acqua che devono restituire al Giordano l'hanno già», conclude Munqeth Meyhar, rifiutandosi di pensare che i nemici non si possano mettere d'accordo sulla salvezza del loro fiume. «Continuano a parlare di soluzione del conflitto, di cui l'acqua è uno degli ultimi punti. Foeme propone di capovolgere i termini del problema: risolviamo prima l'acqua. La politica ci seguirà».

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