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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
21.05.2010 Hamas alza le tasse a Gaza
Dopo aver speso tutti i fondi internazionali in armi contro Israele

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 21 maggio 2010
Pagina: 1
Autore: Roberto Bongiorni
Titolo: «Tra tasse e divieti Hamas non piace più»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 21/05/2010, a pag. 1-12, l'articolo di Roberto Bongiorni dal titolo " Tra tasse e divieti Hamas non piace più ".


Hamas

Per Ziad Zaza è la cosa più naturale. «Che dirle? Qualsiasi cittadino nel mondo non gradisce le tasse. E ogni governo del mondo cerca di trovare i mezzi per proteggere i suoi cittadini dai danni del fumo. Come avviene in Europa. Se la gente riduce il consumo di tabacco le spese sulla nostra sanità saranno più basse. Cosa ci trovate di tanto strano?».
Se non è strano è tuttavia curioso. Perché le tasse di cui ci parla il vicepremier di Hamas, nonché ministro dell'Economia, graverebbero su buona parte del milione e mezzo dei palestinesi di Gaza, molti dei quali vivono con due dollari al giorno nei campi profughi. E perché i prodotti tassati, tra cui le sigarette, non sono altro che merci di contrabbando, quindi illegali, che arrivano quotidianamente dall'Egitto attraverso i tunnel. Ziad Zaza sdrammatizza, ma i suoi avversari sostengono che il giro di vite sui contribuenti non è che l'estrema, impopolare misura per far fronte alla crisi finanziaria del governo di Hamas.
A Gaza le cose stanno cambiando. Per accorgersene basta poco, meno di 15 minuti. Il tempo per lasciarsi alle spalle l'impenetrabile valico israeliano di Erez, percorrere a piedi la "no man's land", un fazzoletto di terra lungo circa un chilometro cosparso di macerie, e arrivare al check point di Hamas. All'interno di un gabbiotto di ferro un funzionario in divisa, con una barba islamica ben cu-rata, controlla il passaporto, annota le generalità su un vecchio computer e poi chiede il luogo di pernottamento. Tanto zelo è già una novità. La sorpresa, però, arriva quando una guardia ispeziona la valigia. Si sofferma su una bottiglietta d'acqua, chiede, storpiandone il nome, se sia vodka. Senza attendere risposta apre il tappo e annusa il contenuto. Dalla fine dello scorso Ramadan, gli stranieri che hanno cercato di introdurre alcolici nella Striscia, per uso personale, si sono visti svuotare il contenuto davanti ai loro occhi.
È solo uno dei tanti segnali. Negli ultimi mesi su Gaza grava una cappa pesante. Gli uomini dell'intelligence sono molto più numerosi e diffidenti. I bagnini, armati di fischietto, rimproverano chi non indossa una maglietta, anche se sta facendo il bagno. La polizia vigila affinché i simpatizzanti di Fatah non formino capannelli per strada. Altri poliziotti controllano ogni giorno l'uscita dei mille tunnel che si distendono al confine tra la Striscia e l'Egitto. Due gli obiettivi: riscuotere le tasse sui prodotti autorizzati e confiscare quelli proibiti.
La lista delle merci vietate si allunga ogni settimana. Viagra, alcol, film stranieri erano banditi già da tempo. Ma ora lo sono anche l'import via tunnel di motociclette e alcuni farmaci, tra cui il Tramdo, un antinfiammatorio popolarissimo a Gaza perché, se assunto in grandi dosi, dà un effetto simile alla morfina. In aprile ne hanno sequestrate un milione e 700mila pillole per poi incendiarle pubblicamente. Gli internet caffè lavorano sotto l'occhio vigile degli ispettori. Il 25 aprile i poliziotti di Hamas hanno interrotto il primo grande concerto hip-hop organizzato a Gaza. La prima motivazione: non avevano i permessi. La seconda: questioni morali.
Quasi sottovoce, al riparo da orecchie indiscrete, diversi palestinesi di Gaza confessano di sentirsi in un regime. Sono trascorsi oltre quattro anni da quando il movimento islamico Hamas, a sorpresa, trionfò nelle elezioni politiche, formando in marzo un governo ostile a Israele. E quasi tre anni da quando in una veloce guerra lampo le sue milizie sconfissero le forze di sicurezza del partito Fatah divenendo padrone della Striscia. La data che segna la grande la scissione dei Territori palestinesi. In parecchi dubitavano che Hamas sarebbe riuscita a governare per più di un anno. Non è andata così. «Molti palestinesi - ci spiega il noto economista indipendente Omar Shaban- votarono Hamas perché volevano un cambiamento e non perché si sentissero ideologicamente vicini. Oggi sono delusi. Fino al 2006 il movimento erogava servizi per la popolazione, cure mediche, cibo. Una sorta di welfare per colmare le lacune dei pessimi servizi erogati dall'Autorità palestinese. Ora ha cambiato priorità. Non distribuisce più cibo e servizi come prima, ma si comporta come un operatore finanziario: investimenti sul lungo termine, operazioni speculative su terreni e immobili». Corre voce che alcuni membri acquistino a nome proprio, ma per conto del movimento, appartamenti che restano disabitati in attesa di essere rivenduti. Il che provoca rabbia tra le migliaia di palestinesi che hanno perso la casa durante l'offensiva israeliana su Gaza (gennaio 2009) e ora vivono nelle tende. Quanto alle nuove tasse e alla ripresa delle imposte dirette, la gente non le ha proprio digerite. Ala al-Shawa non le ha pagate e dice che non le pagherà. Quando lo incontrammo, nel 2007, il suo internet caffè era stato preso di mira da un gruppo islamico che in tre giorni ne distrusse 40. Ha appena aperto un piccolo supermercato, piuttosto sguarnito. «E ora mi hanno chiesto di pagare mille shekel (265 dollari) per la licenza e altri 500 per altre tasse. Se mi trovano un posto di lavoro adatto alla mia laurea- finanza - lascio subito questo lavoro ». Diversi abitanti del quartiere di Daraj, nel centro di Gaza City, dicono di non avere i soldi per pagare. Che siano meccanici, piccoli imprenditori, venditori ambulanti di ortaggi, hanno quasi tutti ricevuto gli avvisi di pagamento. Il vicepremier di Hamas sdrammatizza: «A causa dell'assedio israeliano- spiega- il governo di Gaza ha congelato la raccolta delle tasse e delle imposte per tre anni. Da tre mesi abbiamo iniziato a riattivarle, ma sono a carico solo delle categorie che possono permettersi di pagarle. E quelle sui prodotti riguardano beni non essenziali». Per un popolo di tabagisti come i palestinesi l'aumento del 30% del prezzo delle sigarette è comunque un duro colpo. «Da una settimana abbiamo chiesto una tassa di 3 shekel per ogni pacchetto, mentre il governo di Ramallah (in Cisgiordania) ne intasca 7,4. Quanto alla benzina l'aumento è irrilevante ed è un prelievo per offrire lavoro temporaneo ai disoccupati.
Le licenze, infine, sono di competenza delle municipalità. Le imposte sul reddito le chiediamo solo ai dipendenti statali,per gli altri c'è flessibilità. Tra sconti e esenzioni - non abbiamo chiesto le tasse per rinnovare i permessi a tutti quelli danneggiati dall'ultima guerra - di tasse praticamente non ne raccogliamo».
Anche sulle finanze Ziad Zaza ostenta sicurezza: «Il budget per mantenere le istituzioni è di 25 milioni di dollari l'anno. Riceviamo questi soldi da paesi amici. Che sono molti, e non solo musulmani». Naturalmente via tunnel. «Occorre distinguere - precisa Shaban - tra il movimento di Hamas e il governo. È il governo ad avere problemi finanziari non il movimento, c'è indipendenza tra i due in termini di finanze».
Nessuna crisi, né finanziaria, né politica. E nessuna persecuzione degli oppositori, ribatte Hamas. Ma una visita a Zakaria I. al-Agha offre un'altra versione. È lui il responsabile più alto del comitato esecutivo dell'Olp a Gaza.Dirige l'ufficio per gli affari dei rifugiati. Zakaria espone subito il decalogo dei divieti: «Vietato esporre bandiere di Fatah, vietato tenere aperti gli uffici, radunarsi per strada, organizzare comizi, anche in casa. Pena l'arresto: 36 nostri membri si trovano ancora in prigione senza capo d'accusa. I nostri deputati non possono recarsi in Parlamento. Votano le loro leggi senza di noi». «La situazione dei diritti umani si sta deteriorando con il passare dei mesi », precisa Hamdi Shaqura, uno dei direttori del Palestinian Centre for Human Rights. Fosse solo la politica. Ala alShawa potrebbe chiudere un occhio. Così anche sulle restrizioni alla libertà, di cui non vuole parlare, forse per paura. Ma le tasse, quelle proprio no.

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