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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
16.05.2010 Aharon Appelfeld, il più importante scrittore d'Israele
Nel bellissimo ritratto di Serena Danna

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 16 maggio 2010
Pagina: 27
Autore: Serena Danna
Titolo: «Bibbia grande maestra di modernità»

Sul SOLE24ORE di oggi, 16/02/2010, pag. 27, con il titolo "Bibbia grande maestra di modernità", un bellissimo ritratto di Aharon Appelfeld di Serena Danna, che in un breve articolo riesce a suscitare nel lettore una particolare attrazione verso l'opera letteraria del forse più grande scrittore israeliano vivente.
Ecco l'articolo:





Alcune copertine delle edizioni italiane di Aharon Appelfeld

In casa Appelfeld il grande tavolo di legno del salotto conserva ancora i segni del secondo pasto di Shabbat. Le briciole di «challah», il pane tipico del sabato di festa, occupano la tovaglia di lino grigia. Non è stato semplice trovare la casa dello scrittore israeliano. Mevaseret Rachel è un sobborgo residenziale "all'americana"a pochi chilometri da Gerusalemme. Villette bianche, strade ampie, tanto verde e una vista che toglie il fiato.
Laddove durante l'Impero romano c'era una fortezza strategica oggi c'è un quartiere amato dagli scrittori. Non molto distante da Aharon Appelfeld abita l'altro grande ambasciatore della letteratura israeliana nel mondo: David Grossman.
A Yasmin street non tutti sanno di avere come vicino di casa uno dei più grandi scrittori del Novecento, ma si mostrano interessati ad aiutare una forestiera con l'aria da studentessa: «È stata fortunata perché gli israeliani non sono gentiluomini ma, si sa, i furbi sanno usare la gentilezza, soprattutto se si tratta di donne», dice Appelfeld dal cancello della sua casa – due piani separati da una scala a chiocciola – rivelandosubito quell'ironia ebraica che ha contribuito al successo di Woody Allen. Un uomo piccolo Appelfeld: occhi azzurri e dolcissimi nascosti dietro gli occhiali, sulla testa la coppola blu che, come una coperta di Linus, lo accompagna in quasi tutte le manifestazioni pubbliche. Al piano terra c'è lo studio, le quattro pareti sono occupate da grandi librerie di legno: «Non li conto più i volumi, ma credo siamo arrivati a 4mila. Mi piace pensare in mezzo ai libri ma non scrivo qui. Da trent'anni vado sempre nello stesso caffè a Gerusalemme, arrivo la mattina, apro il taccuino e inizio. Sono circondato dal profumo di caffè, da vecchi amici che mi parlano di Israele e da ragazzi giovani». Non c'è traccia di computer nella stanza: «Non uso il pc, sono abituato a scrivere a mano. L'arte è connessa ai sensi, senza carta e penna non non c'è sensibilità».Il pensiero conservatore non c'entra: «Amo la modernità perché è libertà, ma l'attaccamento alla tecnologia non mi piace e non lo capisco. E poi la tastiera mortifica la scrittura dell'ebraico...».
È la sua storia di vita a spiegare perché il concetto di libertà per Aharon Appelfeld sia così legato a quella lingua che insegna oggi all'università «Ben Gurion» di Negev. L'ha imparata tardi, a 14 anni: «a 18 ancora mi correggevano quando parlavo», sottolinea.
Nato nel 1932 a Czernowitz in Bucovina del Nord, (oggi Ucraina), il piccolo Aharon impara il tedesco.
«Nella mia famiglia illuminata e laica l'ebraico era considerato anacronistico ». Se in casa i riferimenti sono più vicini alla fede nella ragione di Voltaire che al dolore della Diaspora, è ancora più difficile credere possibile l'Olocausto. Appelfeld incontra l'orrore della Shoah a nove anni, quando soldati tedeschi e ucraini entrano in casa dei nonni, in un piccolo villaggio sui Carpazi, per cercare ebrei. La madre e gli altri familiari vengono uccisi: «Io e mio padre fummo deportati in un campo di lavoro e lì ci separarano». Aharon reincontra il padre solo nel 1959 in Israele. Nel frattempo ci sono il dolore e il coraggio raccontati in Storia di una vita: i quattro anni nascosti nel bosco senza parlare e con quel segreto «dolce e tremendo» che riguarda la sua identità, l'incontro con i criminali, l'Armata Rossa e la Palestina nel 1946. «Una notte, tra i boschi, la paura e il freddo erano più forti del solito e l'unico pensiero che mi accompagnava era la mia famiglia e la consapevolezza che non mi avevano abbandonato. Presi un cartone e provai a scrivere uno a uno i nomi dei componenti. Così la mia identità venne fuori: chi ero, da dove venivo. Da quel giorno tutte le volte che mi sentivo perso ritiravo fuori il cartone». La scrittura torna salvifica in Palestina: «L'Olocausto ci aveva distrutto tutto, non avevamo più luoghi, case, persone. Eravamo persone senza passato. Ci restava solo una cosa: essere ebrei». Aharon a 14 anni non aveva mai frequentato la scuola, mai portato la merenda, fatto i compiti: «La mia prima vera lezione l'ho avuta all'università ». Scrivere l'ebraico diventa così per lo scrittore di Paesaggio con bambina un modo per costruire la nuova identità. «Un uomo che stimavo molto mentre studiavo l'ebraico mi disse: sai dove si trovano tutti i misteri e la bellezza della lingua? Nella Bibbia».
Da quel giorno la Bibbia, oltrea diventare la sua «maestra di vita », prende il ruolo di una scuola di scrittura per Appelfeld: «Non c'è mai retorica o sentimentalismo nei testi sacri, la parola è asciutta, sintetica, essenziale come lo è il dolore».
È difficile per chi ha vissuto l'orrore del'900 solo sui libri di storia capire uno sguardo sereno come quello di Aharon Appelfeld. «Non ho mai provatorabbia né odio per quello che mi è successo. Così mi sono salvato. La mia famiglia mi ha insegnato il valore più grande per un individuo: l'umanità». Sorride quando sa che Ron Leshem, il giovane scrittore di 13 soldati, lo considera maestro più di tutti gli altri grandi scrittori israeliani. C'è un filo rosso che lega Appelfeld alle nuove generazioni di autori israeliani che privilegiano la realtà cruda a quella romanzata. Perché i grandi scrittori degli anniOttanta e Novanta hanno preferito il racconto da Kibbutz a quello del campo di battaglia? «Scavare nell'interiorità è diventato una priorità». Per Appelfeld resta la vita.

***


Aharon Appelfeld

Aharon Appelfeld impara l'ebraico a 14 anni ma proprio la lingua dei suoi avi lo aiuterà a trovare la sua identità come ebreo e come scrittore. Inizia a pubblicare poesie nel 1959 e inizialmente la sua produzione si limita ai racconti brevi. Il primo romanzo risale al 1971 «The Skin and the Gown», ma è con «Badenheim 1939», del 1979, che il nome di Appelfeld inizia a fare il giro del mondo. Le sue opere oggi sono tradotte in 28 lingue.

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