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Il Messaggero Rassegna Stampa
13.07.2018 Moda made in Israel dal deserto al futuro
Commento di Francesca Nunberg

Testata: Il Messaggero
Data: 13 luglio 2018
Pagina: 19
Autore: Francesca Nunberg
Titolo: «Il ‘Made in Israel’ dal deserto al futuro»
Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 13/07/2018, a pag.19, con il titolo "Il ‘Made in Israel’ dal deserto al futuro" il commento di Francesca Nunberg.

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Francesca Nunberg

La domanda è cruciale: esiste davvero una moda israeliana? Di cosa parliamo in un Paese così multietnico, dove si viaggia tra tradizione e modernità, passando dall'estremo della "divisa" da kibbutz shorts e sandali al look da broker della City? Con una certa dose di coraggio i curatori di Fashion Statements hanno spalancato armadi e cassetti organizzando all'Israel Museum di Gerusalemme la prima grande mostra dedicata alla moda, in occasione del settantesimo anniversario della nascita dello Stato. Obiettivo: decodificare e fare conoscere al mondo un settore in grande fermento.

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LE ORIGINI Gli oltre 150 pezzi tra abiti, accessori, bozzetti e fotografie, esposti fino al 29 aprile 2019, raccontano come ci si vestiva nel periodo pre-sionista di fine `800, la nascita delle prime griffe come Gottex e Maskit e la coesistenza della moda tradizionale sia ebraica che araba. Su un terreno che forse riesce a tenere lontani i conflitti. «Si comincia a parlare di moda israeliana all'inizio del `900 - spiega Daisy Raccah-Djivre che ha curato la mostra con Noga Eliash-Zalmanovich e Efrat Assaf-Shapira - Abbiamo voluto mettere in evidenza l'influenza delle due ideologie dominanti: gli ideali socialisti si rifletto- no in un abbigliamento più pratico e monocromo ispirato alla Bauhaus, mentre quelli liberali nel design della haute couture europea. A caratterizzare la moda israeliana sono stati il clima caldo, i colori, le ampie forme mediorientali e quelle aderenti europee». Uno dei primi brand è Maskit, fondato nel 1954 da Ruth Dyan e riemerso in anni recenti grazie a Nir e Sharon Tal e che ancora oggi produce una Desert Collection in cui la silhouette moderna si combina con gli elementi del folklore israeliano. Ecco quindi mantelle, abiti lunghi, forme scivolate, pantaloni larghi e quel Desert Coat che fece innamorare Audrey Hepburn e che ancora oggi è il pezzo forte. «Marchi israeliani come Gotex e Beged Or sono noti anche all'estero - continua Daisy Raccah-Djivre - Tra i loro clienti ci sono state Jacqueline Kennedy, Lady Diana e Sophia Loren. Gli stilisti Tamara Yovel Jones e Victor Bellaish hanno lavorato per Roberto Cavalli, Alber Elbaz è stato il disegnatore di Lanvin».

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LE IDEOLOGIE Quattro le sezioni della mostra: Holy Land esplora le tradizioni sartoriali provenienti da tutto il mondo, ispirate dal territorio in cui sono confluite: i colori passano dalle tonalità soffici del deserto a quelle sgargianti dell'Asia Centrale. La seconda è Austerity/Prosperity in cui i capi in mostra rappresentano i due ideali estetici di socialismo e liberalismo. La terza racconta il boom del Made in Israel, quando nascono le principali case di moda grazie al supporto governativo; nel 1965 l'Export Institute fonda la Israel's Fashion Week, che mira a trasformare Tel Aviv in una capitale della moda e ad attirare buyer da tutto il mondo. Stilisti come Gideon Oberson, Riki Ben-Ari e Jerry Melitz aprono boutique o atelier indipendenti e nel 1971 viene istituito il prestigioso Shenkar College of Engineering and Design. La quarta sezione è Fashion Now, con gli ultimi sviluppi tra artigianato e tecnologia d'avanguardia: gli abiti diventano tele sulle quali rappresentare idee sociali, a volte si trasformano in opere d'arte. Tra i brand presenti spicca Gottex, celebre per i costumi da bagno deluxe indossati da Lady Diana e Liz Taylor, fondato a Tel Aviv nel 1956 dalla designer Lea Gottlieb e oggi presente in sessanta Paesi del mondo. In mostra anche creazioni di Fini Leitersdorf, la decana degli stilisti israeliani morta nell'86 che iniziò a lavorare a Tel Aviv nel 1940 disegnando costumi teatrali, abiti da donna e da uomo, scarpe, gioielli e perfino bottoni, nonchè il famoso Desert Coat. E ancora Rojy Ben-Joseph, designer tessile di origine bulgara emigrata in Israele nel 1948: il suo brand continua a produrre stoffe grazie agli artigiani di Hebron e Gaza, testimonianza della fusione di culture. E ci siamo anche noi: la Fashion Week di Tel Aviv negli ultimi anni ha ospitato brand italiani come Cavalli, Moschino e Missoni.

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