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Il Messaggero Rassegna Stampa
24.12.2017 Iran minaccia, l'America risponde
Analisi di Alessandro Orsini

Testata: Il Messaggero
Data: 24 dicembre 2017
Pagina: 28
Autore: Alessandro Orsini
Titolo: «Iran cresce l'influenza, Trump pronto a reagire»

Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 24/12/2017, a pag.28, con il titolo "Iran cresce l'influenza, Trump pronto a reagire" l'analisi di Alessandro Orsini

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Alessandro Orsini, Un.Luiss, Roma

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Iran e Stati Uniti sono acerrimi nemici. Se il primo avanza, il secondo arretra. La conseguenza di questo gioco a somma zero è che entrambi cercano di sottrarsi quote di potere, con la differenza che gli Stati Uniti possono danneggiare l'Iran mentre l'Iran può soltanto impensierire gli Stati Uniti. Siccome impensierire non è danneggiare, l'Iran non rappresenta un pericolo mortale per gli Stati Uniti, né per il blocco occidentale. CO è dimostrato da quattro fatti fondamentali. Il primo è che gli Stati Uniti conducono esercitazioni militari a due passi dalla costa dell'Iran, mentre l'Iran non conduce esercitazioni militari a ridosso della costa americana. Il secondo fatto è che gli Stati Uniti possono imporre sanzioni contro l'Iran, ma l'Iran non può imporre sanzioni contro gli Stati Uniti. Il terzo fatto è che gli Stati Uniti possono intervenire nella politica interna dell'Iran, come dimostrano gli accordi per limitare il suo programma nucleare, mentre l'Iran non può intervenire nella politica interna americana giacché la Casa Bianca fa quel che vuole in casa propria senza dare conto a nessuno. Il quarto fatto è che gli Stati Uniti hanno una base militare in Medio Oriente, mentre l'Iran non ha basi militari in Occidente. La base di al-Udeid, in Qatar, ospita circa 10 mila uomini dell'esercito americano e numerosi aerei da guerra. Una volta chiariti i rapporti di forza tra Iran e Stati Uniti, possiamo comprendere meglio la politica di Trump in Medio Oriente, che dipende dalla preoccupazione e dal risentimento. La preoccupazione di Trump nasce dal fatto che l'Iran, nel volgere di pochi anni, Atlante di Alessandro Orsini Iran, cresce l'influenza Trump pronto a reagire ha esteso la sua influenza prima sull'Iraq e poi sulla Siria. Trump fa bene a essere preoccupato: le milizie iraniane sono presenti in Iraq per garantire la sicurezza dello Stato, il che significa che il governo dell'Iraq è in un rapporto di subordinazione politica rispetto al governo dell'Iran. Quanto alla Siria, Trump è ancor più preoccupato. Il dittatore Bassar al Assad ha potuto vincere la guerra civile grazie all'esercito dell'Iran, che oggi chiede di poter stabilire una base militare nei pressi di el-Kiswah, 14 km a sud di Damasco. Bassar al Assad, che è vivo grazie agli iraniani, ha acconsentito. Il risultato è che l'Iran dispone di truppe in Iraq e in Siria. Dopo le ragioni della preoccupazione, veniamo a quelle del risentimento. Trump è risentito perché l'Iran ha tratto enormi benefici dalle guerre americane. Vediamo in che modo. L'amministrazione Bush rovesciò Saddam Hussein per impiantare un governo amico degli Stati Uniti e nemico dell'Iran. Gli irageni andarono al voto ed elessero al Maliki, un premier legato mani e piedi all'Iran. Per rimediare al danno subito, gli americani provarono ad avanzare in Siria. Quando scoppiò la guerra civile, nel marzo 2011, appoggiarono i ribelli per rovesciare Bassar al Assad e rimpiazzarlo con un nuovo presidente che fosse amico degli Stati Uniti e nemico dell'Iran. Nonostante la tenacia, gli Stati Uniti hanno fallito due tentativi su due: Saddam Hussein è stato sostituito da un premier amico dell'Iran e Bassar al Assad è rimasto al potere, sempre più legato all'Iran. Alcuni giorni fa, la stampa americana ha rivelato che l'Iran, passando per l'Iraq e la Siria, è riuscito ad aprirsi un varco sul Mar Mediterraneo. E una notizia di grande importanza. L'Iran accresce la sua influenza in Medio Oriente ogni giorno di più. Come abbiamo visto, non ha la forza per danneggiare gli Stati Uniti, ma Trump, come tutti i capi di Stato, ha il dovere di immaginare che il futuro sarà sempre peggiore del presente. Un capo di Stato ottimista non è un buon capo di Stato. Egli può essere ottimista nei discorsi pubblici o negli slogan elettorali, ma non può esserlo al chiuso delle sue stanze. Quando discute il futuro del suo Paese con i consiglieri strategici, ha il dovere di essere pessimista. L'ottimismo e la fiducia verso gli Stati rivali sono segno di impreparazione politica e inadeguatezza istituzionale. Le scelte di Trump potranno rivelarsi sbagliate, ma non può consentire all'Iran di stabilire una base militare in Siria, al confine con Israele. Se l'Iran avanza in pace, gli siano aperte tutte le porte. Se, invece, avanza stabilendo basi militari, che ogni porta venga serrata. Non è questione di giusto o sbagliato. E questione di ciò che è utile al blocco occidentale. La costruzione della pace è la più lodevole delle strategie. A patto che gli Stati rivali rimangano in grado di impensierire l'Occidente, mai di danneggiarlo.

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