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Avvenire Rassegna Stampa
31.08.2019 Un ridicolo peana per Darwish, il cantore della distruzione di Israele
Avvenire alza al massimo livello l'odio anti israeliano

Testata: Avvenire
Data: 31 agosto 2019
Pagina: 18
Autore: Riccardo Michelucci
Titolo: «Sulla collina di Ramallah la voce di Darwish canta ancora»
Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 31/08/2019 a pag.18, con il titolo "Sulla collina di Ramallah la voce di Darwish canta ancora" l'articolo di Riccardo Michelucci


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a sinistra Arafat, al centro M.Darwish

Tutto il tono del pezzo non meriterebbe alcuna considerazione, tanto è ridicolo. Ne abbiamo sottolineato i passaggi peggiori. Lo riprendiamo perchè rivela il buco nero dell'odio verso Israele nel quale nuota il quotidiano dei vescovi. Alle bufale più plateali, come quella dell'esilio al quale l'avrebbe obbligato Israele, mentre in realtà erano tutte trasferte in paesi che invitavano Darwish  quale ottimo propagandista dell'odio palestinista, infatti quando per l'età e la salute gli sono mancati i viaggi, si è stabilito  tranquillo a Ramallah. Non manca la non voluta ironia, come quando il suo trombettiere Michelucci scrive "tutti i tentativi di inserirlo nei programmi delle scuole israeliane sono falliti di fronte all'intransigenza della politica"!! Il cattivone Avigdor Liberman, pur non essendo un critco letterario, ma un lettore non rimbambito, aveva paragonato i suoi parti poetici al Mein Kampf.
Questo articolo merita e-mail al direttore di Avvenire Marco Tarquinio, se non ha provato vergogna a pubblicare il pezzo del Michelucci: lettere@avvenire.it


 
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Marco Tarquinio, direttore

Ecco il pezzo:
Mahmoud Darwish riposa sulla collina più alta di Ramallah. Si deve salire fin lassù per confrontarsi con il lascito del poeta che diceva di avere dentro di sé un milione di usignoli per cantare la propria canzone di lotta. Darwish fu sepolto qua nel 2008, con tutti gli onori, e oggi questo è uno dei luoghi più amati da un popolo che considera da sempre la cultura anche uno strumento di riscatto politico. Colpisce la quantità di giovani che ogni giorno si arrampicano sull'imponente scalinata del parco AlBirweh per rendere omaggio al mausoleo del bardo palestinese, due grandi pietre rettangolari circondate da un giardino rigoglioso, ai cui lati si trovano un teatro e un piccolo museo, opera dell'architetto palestinese JafarTukan. La mostra permanente all'interno contiene numerosi manoscritti originali del poeta - tra cui spicca la Dichiarazione d'indipendenza che Darwish stesso scrisse nel 1988 -, oggetti personali, foto, documenti. C'è il biglietto aereo per il suo ultimo viaggio terreno, a Houston, dove si recò per curarsi nell'estate del 2008, e si spense in seguito alle complicazioni post-operatorie di un intervento al cuore.
Le pareti del museo sono tappezzate dai suoi versi e dalle copertine dei suoi libri - tradotti in decine di lingue - mentre la sua scrivania vuota sembra quasi attendere il suo ritorno. I numerosi premi sono stati disposti invece in un'installazione realizzata con l'argilla di Al-Birweh, il villaggio della Galilea dove nacque nel 1941. Considerato uno dei più grandi poeti contemporanei in lingua araba, Mahmoud Darwish ha raccontato l'orrore della guerra, dell'occupazione e dell'esilio vissuto dal popolo palestinese riuscendo a trasformare la causa di una nazione in un simbolo universale di lotta perla libertà. il suo villaggio natale fu raso al suolo durante la guerra del 1948, quando lui era ancora un bambino. Per scampare alle persecuzioni sioniste fuggi in Libano con la famiglia e poté tornare in patria - divenuta nel frattempo terra dello stato d'Israele- solo clandestinamente. La sua condizione di «ospite illegale» nel suo stesso paese divenne uno dei capisaldi della sua produzione artistica. Nel 1960, a 19 anni, pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Uccelli senza ali. Il governo israeliano lo tenne a lungo sotto stretta sorveglianza, lo arrestò più volte (spesso solo per aver recitato poesie in pubblico) e lo costrinse infine all'esilio, ma non riuscì a impedirgli di scrivere ben ventisei volumi di poesia e undici di prosa. «Potete legarmi mani e piedi / togliermi il quaderno e le sigarette / riempirmi la bocca di terra: la poesia è sangue del mio cuore vivo / sale del mio pane, luce nei miei occhi». Vagò a lungo, da esule: Unione Sovietica, Egitto, Libano, Giordania, Francia. Poté ritornare nel suo paese soltanto nel 1996, dopo 26 anni di esilio, per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita. Tutti i tentativi di inserirlo nei programmi delle scuole israeliane sono falliti di fronte all'intransigenza della politica. Darwish continua a essere una voce scomoda anche da morto. Tre anni fa una nota radio israeliana mandò in onda un approfondimento sulla sua opera e lesse in diretta una delle sue poesie più famose, scatenando le ire del governo. II ministro della difesa, Avigdor Lieberman, non esitò a paragonare i versi del poeta al Mein Kampf

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lettere@avvenire.it

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