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Avvenire Rassegna Stampa
02.12.2018 Avvenire non ha ancora capito che Israele è una democrazia dove si discute di tutto
Un altro tentativo del quotidiano cattolico di delegittimare lo Stato ebraico

Testata: Avvenire
Data: 02 dicembre 2018
Pagina: 24
Autore: Paolo Sorbi
Titolo: «Il dilemma di Israele: Stato ebraico o Stato degli ebrei?»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 02/12/2018, a pag.24, con il titolo "Il dilemma di Israele: Stato ebraico o Stato degli ebrei?" l'analisi di Paolo Sorbi, preceduta da un nostro commento.

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Non siamo al livello di Camille Eid, ma poco ci manca. Fin dall'inizio, dove Paolo Sorbi dichiara suo 'punto di riferimento' Dan Segre, il quale si rivolterà nella tomba. Una cosa è discutere su temi concernenti l'assetto istituzionalie di un paese, altro è avanzare tesi che nulla hanno a che vedere con la reale democrazia di Israele. Se il governo ha votato una legge che riafferma l'ebraicità dello Stato, non ci vuole una particolare intelligenza per coglierne il motivo. In un mondo che sempre più la nega attraverso iniziative delle quali il BDS è soltanto l'ultima, ricordare attraverso una legge le caratteristiche democratiche di Israele 'Stato ebraico' è non solo utile ma doveroso.
Operazione che Sorbi cita, inframmezzandola però con affermazioni  che mettono in dubbio la natura democratica del paese. Pur non essendo al livello delle veline palestiniste, anche questa operazione mira a presentare Israele come una società dove vige l'apartheid. Il vecchio antigiudaimo che non muore mai, si è soltato dato una ripulita nel tentativo di rendersi presentabile.

Ecco l'articolo:

Fu Dan V. Segre, già docente a Stanford, grande studioso dei temi mediorientali, giornalista e diplomatico per lo stato d'Israele negli anni Cinquanta, mio punto di riferimento sui temi del futuro ebraico, a preannunciarmi qualche mese prima della sua morte, avvenuta nel settembre 2014, che saremmo arrivati presto ad una sorta di showdown sul futuro istituzionale di Israele. Stato ebraico o stato degli ebrei? Questo, in sintesi, il nocciolo dello scontro giuridico, politico e culturale che si sarebbe giocato da parte della destra sionista al governo - culturalmente erede del fondatore del revisionismo nazionalpopulista di Zeev Jabotinski - contro l'opposizione del sionismo nazionalprogressista erede del "padre della Patria", il laburista David Ben-Gurion. Di tutto ciò, delle implicazioni geostrategiche, narra il numero di quest'ultimo settembre della rivista limes "Israele. Lo stato degli ebrei". A mio parere, in modo eccessivamente scientistico. Infatti, nel volume in questione, si scava poco sulle radici bibliche e sociologiche che ancora oggi differenziano, eccome, le molteplici culture ebraiche. Di questo, dei limiti dell'esperimento sionista, al contempo di appassionata stima ed affetto per quella stessa storia, è recentemente uscito un mirabile volumetto postumo dell'importante studioso domenicano padre Marcel Dubois a dieci anni dalla sua scomparsa. Pubblicato dalle edizioni Terra Santa: Israele. La spiritualità del giudaismo. Ma torniamo alla questione della nuova legge sullo stato ebraico e non più stato degli ebrei. 1119 luglio di quest'anno il parlamento israeliano ha votato una legge fondamentale "sullo stato nazionale del popolo ebraico". Diciamo subito che questo atto giuridico-politico definisce elementi che sono già presenti nella Dichiarazione di indipendenza proclamata il 14 maggio 1948. Si potrebbe dire: tanto rumore per nulla? Non è così. Cosa dice di tanto "estremistico" questa legge? 1) definisce lo stato di Israele come il luogo peculiare, nella storia dell'umanità, per l'esistenza del popolo ebraico, 2) Gerusalemme capitale indivisibile del popolo ebraico, 3) l'ebraico lingua ufficiale dello stato, subordinando al secondo livello la lingua araba e altre questioni, ripeto, già ampiamente presenti nella Dichiarazione di indipendenza. Certamente, nella legge approvata a luglio, vi sono forti ambiguità che esigono vigilanza. Fa problema non tanto ciò che viene detto, ma quanto non si dice più. Manca, in questa nuova legge fondamentale nazionale, il raccordo con l'uguaglianza di tutti i cittadini e col carattere democratico dell'esperimento sionista. Le due fontane da dove lo stato di Israele trae la propria legittimità. Diritto di voto, diritti individuali civili, diritti religiosi e linguistici, diritti sociali, il tutto in nome dei principi di uguaglianza tra cittadini dello stato, che ha capitale Gerusalemme e che, come minoranze, sono anche arabo-israeliani, cristiani-israeliani, drusi-israeliani e altri gruppi sociali. Questa nuova legge "sullo Stato ebraico" si preoccupa del solo carattere ebraico dello stato di Israele, tacendo su tutto il resto. Non è un vero terremoto, come abbiamo già detto, ma poco ci manca. La tensione giuridico-istituzionale tra uguaglianza e carattere nazionale ebraico, dal 1948, è stata produttrice di feconde dinamiche di integrazione sociale di molte minoranze, senza mai destabilizzare l'identità ebraica di fondo dello stato di Israele. Perché il governo di centro-destra ha rotto questo equilibrio? Da una parte è sottesa la paura di un futuro a medio termine demograficamente sfavorevole alla realtà ebraica, dall'altra ci si inserisce in una dinamica sovranista internazionale che mette in discussione la distribuzione dei poteri, il loro bilanciamento e pone controlli sulla cosiddetta "vittoria della maggioranza elettorale". Sbandierata come unica caratteristica della democrazia politica, il che è un semplicismo fortemente riduttivo rispetto all'articolazione liberale delle istituzioni giuridico-politiche che vivono nel bilanciamento di molti luoghi del potere. Il centro di queste preoccupazioni è trattato, nel volume di Limes, dalla bella intervista di David Assael al professor Sergio Della Pergola. Esperto demografo e trai più stimati studiosi dell'establishment accademico. Per Della Pergola è alta la preoccupazione di rottura del delicato equilibrio fra democrazia e carattere ebraico dello stato di Israele. In alcuni recenti studi mette in luce il divario che si sta creando fra giovani ebrei israeliani e americani con una crescita di un sentimento ultranazionalista nei primi e una crescita disaffettiva nei secondi, aumentando la polarizzazione fra Israele e larga parte della diaspora ebraica, sia in America che in Europa. Per Della Pergola certamente la nuova legge nazionale fondamentale non aiuta il superamento di queste polemiche, anzi le accentua. Altra osservazione critica è la questione della "santa separatezza" della nazione ebraica. Così come viene definita nel decisivo libro biblico dei Numeri, ove viene descritto il popolo ebraico nel suo stile di vita collettivo. Voluto da Dio "che dimori in disparte", "regno di sacerdoti e nazione santa". Commenta padre Dubois nel suo ultimo volumetto: «Se ciò è di ogni elezione, si può capire le conseguenze di una tale legge nel caso particolare del popolo eletto. Suo testimone in mezzo alle nazioni. La sua psicologia particolare porterà inevitabilmente il segno di questa vocazione all'assoluto». Spiritualità dell'ebraismo come sintesi organica di religione, terra e nazione. Cosa volevano, allora, i sionisti, nel 1948, nel distinguere, anzi separare, la nazione da religione per creare un "nuovo ebreo"? Figli della modernità e del movimento operaio europeo, i seguaci di Theodor Herzl e, più avanzato socialmente, di Achad Ha'Am percorsero il loro cammino sino alla fondazione dello "stato degli ebrei", così sosteneva anche Dan Segre, sognando una nuova laicità e un'autoemancipazione nazionale dai 'vecchi armamentari', così i sionisti progressisti, sostenevano dell'ortodossia religiosa che pur rispettavano. Ecco è verso questa difficile comprensione della spiritualità giudaica e delle opzioni laiche sioniste, che sarebbe necessario scavare di più per cogliere l'estrema attualità delle contraddizioni che scuotono profondamente l'esperimento sionista. limo ciò è descritto, da parte di padre Dubois, nella sua recente pubblicazione. Innanzitutto viene focalizzata la condizione sociologica di un popolo, che nei millenni, è testimone dell'unicità della Parola rivelata. Condizione 'misteriosa' le cui opzioni comportano, nei tornanti della storia, decisioni anche tragiche per mantenere esplicita testimonianza di questa unicità di fede. Un popolo la cui esistenza è stata segnata dall'esilio tra le nazioni europee, in ebraico galuth, inteso come espiazione e sofferenza. Anche, però, galuth come attesa e ritorno nella terra dei Padri. Chi è dunque Israele? Chi è dunque ebreo oggi? In definitiva tutta la storia nazionale ebraica risponde laicamente alla fedeltà verso quella Voce che sollecitò Abramo ad incamminarsi incontro a quella terra da sempre promessa.

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