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Avvenire Rassegna Stampa
17.10.2018 Le parole di pace non bastano: serve l'analisi politica
Il commento vuoto di Gianni Cardinale, che censura Israele

Testata: Avvenire
Data: 17 ottobre 2018
Pagina: 4
Autore: Gianni Cardinale
Titolo: «Perché i cristiani sono il 'sale' del Medio Oriente»
Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 17/10/2017, a pag. 4, con il titolo "Perché i cristiani sono il 'sale' del Medio Oriente", il commento di Gianni Cardinale.

L'articolo di Gianni Cardinale è un inno alla pace che però ignora la complessità di quello che accade in Medio Oriente. Si parla dei diritti a rischio dei cristiani nei Paesi a maggioranza islamica (l'islam viene citato soltanto di sfuggita verso la fine del pezzo), ma non si fa cenno all'intolleranza di origine religiosa, diffusa nei Paesi musulmani. Non un cenno all'unico Paese del Medio Oriente in cui la comunità cristiana cresce e gode del rispetto di tutti i diritti e di benessere economico: Israele. Le parole di pace sono vuote e inutili se manca l'analisi politica: è questo, ancora una volta, che avviene puntualmentesu Avvenire il quotidiano dei vescovi italiani.

Ecco l'articolo:

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Lo scorso luglio a Bari papa Francesco ha riunito i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente. Questo storico incontro ha fatto da sfondo al Panel che "Ponti di Pace" ha voluto dedicare alla tormentata regione. A Bologna perla 328 volta la Comunità di Sant'Egidio ha chiamato leader religiosi e politici a dialogare nel nome dello "spirito" di Assisi suscitato da san Giovanni Paolo II con lo storico incontro nella città di san Francesco dell'ottobre 1986. Ora, durante la tavola rotonda allestita nella splendida cornice della Biblioteca dell'Archiginnasio, viene evocato un nuovo "spirito", quello di Bari, come bussola del cammino ecumenico in Medio Oriente. Nel parla il vescovo Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione Cei per l'ecumenismo, che modem il panel. Ne parla diffusamente Souraya Bechealany, l'unica donna ad aver partecipato al momento riservato con il Pontefice dell'incontro di Bari, in qualità di segretario generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. Per lei è stato un «atto sinodale» che ha indicato una «nuova via per l'ecumenismo», con l'auspicio che «lo "spirito" di Bari continui come quello di Assisi».

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Ne parla anche don Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani. Anche per lui Bari segna l'«inizio di un nuovo cammino» nel dialogo tra le confessioni cristiane, segnato da uno «stile sinodale» e da un ecumenismo «meno teologico» e «più esistenziale». Al dibattito partecipa anche la viceministro degli esteri e della cooperazione internazionale Emanuela Del Re, del Movimento 5 Stelle, che è subentrata nell'incarico a Mario Giro, esponente di spicco di Sant'Egidio. «Senza minoranze forti e capaci - afferma - non possono esserci nuove idee positive nella società. II loro ruolo è indicatore di democraticità». Commovente la testimonianza del vescovo copto ortodosso Anba Pola, che ricorda il «buio» dei tanti martiri patiti dalla sua Chiesa in Egitto negli ultimi anni, ma segnala anche le «luci importanti», come la nuova Costituzione o il fatto che per la prima volta ci siano due governatori cristiani. Realista quello dell'arcivescovo siro-ortodosso Dioysius Jean Kawak: se non si arriva ad una separazione tra Stato e religione nel campo dei diritti per le minoranze non si va avanti. Disincantata l'analisi dello studioso greco-ortodosso Tarek Mitri, dell'Università americana di Beirut. Da lui arriva l'invito ai cristiani del Medio Oriente a non farsi «illusioni» che i loro problemi possano essere risolti con l'amicizia e la protezione di dittatori, della Russia di Putin o del vice-presidente Usa Mike Pence. Ricco anche il dibattito. In aula è presente il cardinale Walter Kasper. Monsignor Khaled Akasheh, del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso, e il porporato nigeriano John Oneiyekan si alzano per porre delle domande. Il cardinale chiede se nel mondo arabo si sia avuto eco della dichiarazione di Marrakesh sui diritti delle minoranze nei Paesi a maggioranza islamica. Il monsignore arabo chiede lumi su come procede il processo di distinzione tra politica e religione in Medio Oriente. Risponde Mitri. Per lui la dichiarazione di Marrakesh non è in realtà un passo in avanti decisivo. E per quanto riguarda, più in generale, la questione dei diritti umani, spiega che la società e la cultura stanno cambiando, mentre è la politica che rimane indietro. In questo contesto il contributo dei cristiani continua ad essere determinante, conclude monsignor Spreafico, e per questo è importante che anche per loro «la fede diventi cultura».

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