martedi` 30 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Avvenire Rassegna Stampa
12.04.2018 Susan Dabbous si pulisce la coscienza scrivendo degli ebrei morti, ma attacca ogni giorno quelli vivi d'Israele
Riportando i dati del Centro Kantor sull'antisemitismo

Testata: Avvenire
Data: 12 aprile 2018
Pagina: 14
Autore: Susan Dabbous
Titolo: «Un gesto, una parola: l'antisemitismo che si cela»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 12/04/2018, a pag. 14, con il titolo "Un gesto, una parola: l'antisemitismo che si cela", il commento di Susan Dabbous.

Avvenire e Susan Dabbous, dopo tanti articoli faziosi, fuorvianti e disinformanti contro Israele, si puliscono la coscienza con un pezzo che riporta i dati del Centro Kantor sull'antisemitismo e descrive la ricorrenza di Yom haShoah in Israele. La tecnica è quella di dilungarsi sugli ebrei morti per meglio attaccare quelli vivi dello Stato di Israele, come avviene quotidianamente sul quotidiano dei vescovi.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Susan Dabbous

Immagine correlata
Yom haShoah: in Israele tutto si ferma al suono della sirena

A oltre 70 anni dalla Shoah, l'antisemitismo c'è ancora, non è scomparso, la percezione è che sia addirittura in aumento. Si nasconde in un gesto, in una parola, in una frase. A volte è aperto e a volte persino inconscio, e si può celare, ad esempio, in una critica alla politica israeliana. E' quanto emerge dal rapporto annuale sull'antisemitismo del Centro Kantor, presentato all'Università di Tel Aviv in occasione del Giorno della Shoah in Israele, le cui celebrazioni sono iniziate ieri dopo il tramonto e dureranno fino a stasera. Sei sopravvissuti ai campi di sterminio hanno dato inizio alle cerimonie di commemorazione nel Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme, accedendo altrettante torce in ricordo dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti e dai loro complici durante l'Olocausto. Oggi, alle 11 in punto, tutto il Paese si fermerà al suono delle sirene in ricordo delle vittime. «Le radio trasmetteranno solo musica triste, ma a me piace», ammette Arie Kluft, 36 anni, origini polacche e un nonno sopravvissuto ai gulag. «Lasciò Varsavia durante la guerra - racconta -, e i russi lo accusarono di essere una spia, così lo misero in un campo di lavoro dove patì il freddo e la fame». Le ripercussioni psicologiche di quel nonno sopravvissuto ai gulag, Arie le ha vissute attraverso suo padre, che descrive come un uomo eccessivamente rigoroso e paranoico, ossessionato dalle scorte di cibo. Arie è I' unico non praticante di una famiglia di Haredi, ebrei ultraortodossi di origine est-europea che rinnegano uno stile di vita moderno. Accanto a lui, nel tavolo di Aroma café (locale no kosher), siede Yshai Cohen, di origine cecoslovacca. «Mia nonna è sopravvissuta ad Auschwitz - racconta -. Insieme a lei solo un altro dei dieci fratelli ce l'ha fatta. Aveva anche due sorelle gemelle che sono state usate come cavie dal medico nazista Josef Mengele». Non c'è disperazione nel tono di voce di Yshai. Anche lui però apprezza la musica triste in questo particolare giorno dell'anno. «Proviamo a combattere la malanconia con il cinismo - scherza Arie -. La verità è che siamo stati cresciuti da genitori e nonni che non hanno mai superato la paura. Per loro, lo spettro dello sterminio può riaffacciarsi all'improvviso, può tornare». Secondo i dati analizzati dal rapporto sull'antisemitismo, nel 2017 gli episodi di violenza contro gli ebrei nel mondo sono stati 327 contro i 361 del 2016. Ma a questi mancano quelli occorsi in Francia, che sono ancora in fase di elaborazione dalla Comunità ebraica locale. La decrescita è tuttavia oscurata da un forte aumento di tutte le altre manifestazioni antisemite, soprattutto nei social media. E di poche settimane fa il caso di una signora francese sopravvissuta all'Olocausto uccisa in casa sua da un uomo di fede musulmana. «I musulmani non sono antisemiti nel senso proprio del termine- dice Yshai-. E noi ebrei chiamiamo gli arabi "cugini", per via di tutte le similitudini nel campo delle pratiche religiose, per la somiglianza delle nostre lingue. Il problema è politico, ed è nato dopo la creazione di Israele». Uno Stato dove, fanno capire i due amici, la maggior parte degli ebrei sono pronti a tutto pur di difendere il senso di sicurezza che è stato raggiunto. Quanto ai Paesi di origine, i sentimenti sono molto controversi. «Sono andato in Polonia due volte - dice Arie - e non mi è piaciuto per niente». Un risentimento profondo è stato trasmesso dai loro antenati fuggiti verso Israele, che durante la seconda guerra mondiale si sentirono traditi dai loro stessi popoli. L'Olocausto? «Non è stato certamente frutto della follia di un uomo - afferma Yshai - ma il culmine di secoli di pregiudizi. E stato la somma dell'odio di tanti popoli». Un odio che ancora oggi molti ebrei israeliani vedono concentrato nel vecchio Continente. A oltre 70 anni, le radici dei peggiori pregiudizi non sono ancora state totalmente estirpate.

 

Per inviare la propria opinione a Avvenire, telefonare 02/6780510, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@avvenire.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT