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Avvenire Rassegna Stampa
04.04.2018 Su Avvenire tre pezzi di disinformazione contro Israele e pro-Iran
Firmati da Susan Dabbous, Luca Miele, Camille Eid

Testata: Avvenire
Data: 04 aprile 2018
Pagina: 5
Autore: Susan Dabbous - Luca Miele - Camille Eid
Titolo: «Migranti, pressing delle Nazioni Unite su Netanyahu - Nuovi scontri a Gaza - Riad rafforza l'asse con Israele»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 04/04/2018, a pag. 5, con i titoli "Migranti, pressing delle Nazioni Unite su Netanyahu", "Nuovi scontri a Gaza", "Riad rafforza l'asse con Israele", i commenti di Susan Dabbous, Luca Miele, Camille Eid.

I tre articoli di Avvenire disinformano secondo la solita pratica del quotidiano dei vescovi.
Susan Dabbous descrive nel dettaglio la condizione precaria dei profughi clandestini africani in Israele - se la medesima situazione riguardasse qualsiasi altro Paese non avrebbe scritto neanche due righe -.
Luca Miele scrive di un "ritorno della violenza", ignorando che la violenza non arriva mai da sola, ma è portata dai terroristi di Hamas, che non vengono descritti come tali. Anche in questo caso la descrizione dei civili gazawi colpiti - di cui non viene detto che sono utilizzati come scudi umani dai terroristi - è funzionale alla demonizzazione di Israele.
Camille Eid descrive la svolta di MbS in Arabia Saudita come una politica aggressiva, mentre si tratta di una reazione all'espansionismo iraniano, attraverso lo Yemen.
Nel complesso, tre pezzi che chiariscono la linea di Avvenire: pro-Iran e contro Israele, l'unica democrazia del Medio Oriente.

Ecco gli articoli:

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Susan Dabbous: "Migranti, pressing delle Nazioni Unite su Netanyahu"

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Susan Dabbous

In piedi, incatenati, a torso nudo e jeans, con un cartello che indica nome e prezzo: 2.000 dollari; 3.000 dollari; 4.000. E questa la protesta messa in atto ieri mattina da un gruppo di africani davanti al ministero della Difesa di Tel Aviv. Non vogliono essere deportati verso l'Africa in cambio di un piccolo incentivo economico (3.000 dollari circa), svenduti per pochi soldi. Non vogliono andare in «Paesi terzi» dove sono indesiderati. Ma soprattutto non vogliono vivere in Israele come migranti illegali, perché la maggior parte di loro lavora, parla l'ebraico e si sente integrato nel Paese. Il giorno dopo la cancellazione dell'accordo tra il governo del premier israeliano Benjamin Netanyahu e l'Acnur (Alto commissariato Onu per i rifugiati) in Israele è caos sulla questione migranti. L'accordo prevedeva la divisione in due gruppi dei 38.000 africani - quasi tutti di origine eritrea o sudanese - entrati illegalmente dal Sinai tra il 2007 e il 2012, sottoposti a espulsione secondo una legge approvata dalla coalizione conservatrice di governo (particolarmente voluta dal ministro dell'Educazione Naftali Bennet, leader di Casa ebraica). Un primo gruppo di 16.500 sarebbe rimasto in Israele ottenendo l'estensione della residenza e il permesso di lavoro. Un secondo gruppo di 16.500 invece sarebbe stato destinato a Paesi terzi occidentali, e non Ruanda e Uganda, come previsto invece dal piano di deportazione originario. L'accordo era stato promosso dall'Acnur in extremis, ovvero allo scadere, all'inizio di aprile, dei permessi di soggiorno di migliaia di migranti che avrebbero dovuto scegliere tra l'espulsione e la galera. Una decisione della Corte Suprema israeliana, accogliendo un ricorso di una rete di attivisti per i diritti umani, ha pero bocciato, il mese scorso, il piano del governo di deportazioni verso Ruanda e Uganda, perché ritenuti Paesi non sicuri. Ieri Netanyahu, sulla sua pagina Facebook, ha accusato una Ong americana di aver fatto saltare l'accordo di ricollocamento con il Ruanda (costringendolo a "ripiegare" sull'Acnur): «La principale fonte della pressione europea nei confronti del governo del Ruanda perché si ritirasse dall'intesa per i rimuovere gli infiltrati dal Paese - ha scritto - è il New Israel Found». «Un'organizzazione – ha aggiunto - che riceve contributi da governi stranieri e da figure ostili a Israele, come i fondi di George Soros». Poco prima, il premier aveva fatto visita nei quartieri meridionali di Tel Aviv dove, vista l'alta domanda di lavoro e manodopera in Israele, molti migranti hanno iniziato a lavorare, insediandosi nei quartieri poveri che offrono case a basso costo, come ad Hatikva. II loro arrivo ha diviso la popolazione locale tra oppositori, che lamentano aumento della criminalità e del degrado, e difensori, che hanno lanciato una campagna contro la loro deportazione. Netanyahu ha incontrato i residenti, assicurando di essere determinato a «mandare via gli infiltrati». "Infiltrati": il terrine con cui il suo governo definisce gli africani entrati irregolarmente in Israele. Il capo del governo ha quindi confermato l'annullamento dell'accordo che aveva raggiunto con l'Acnur sulla loro ridistribuzione tra Paesi dell'Occidente. «Nonostante crescenti difficoltà legali - ha detto - continueremo ad agire con determinazione per esaurire tutte le possibilità a nostra disposizione per far uscire gli infiltrati». Ma una soluzione concreta al momento non c'è. Per questo l'Acnur non demorde, e con il suo portavoce William Spindler ha rilanciato: «Continuiamo a credere nella necessità di una soluzione da cui possano trarre beneficio tutti: Israele, la Comunità internazionale e le persone che hanno bisogno di asilo. Speriamo - ha concluso - che Israele riconsideri presto la sua decisione». Cosa auspicata anche da buona parte della società civile israeliana ed ebrea, a cominciare dai sopravvissuti della Shoah, che trovano del tutto insopportabile voltare le spalle a chi, come loro in passato, fu: e da guerre, schiavitù e persecuzioni.

Luca Miele: "Nuovi scontri a Gaza"

 

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Luca Miele

Torna la violenza. E torna il sangue. Nessuna "tregua': Dopo i morti di venerdì scorso - quando migliaia di manifestanti palestinesi si sono radunati nei pressi della recinzione che separa la Striscia di Gaza da Israele - un'altra vittima si aggiunge al tragico bilancio degli scontri. A morire, ieri, sotto i colpi dell'esercito israeliano, è stato Ahmad Arafa, 25 anni, ucciso durante gli scontri a est del campo profughi di al-Bureij, nel centro della Striscia. Sale così a 18 il numero dei palestinesi uccisi da venerdì scorso per la "Grande marcia del ritorno La tensione, dunque, non è destinata a diminuire. Anzi. Durante un sopralluogo lungo la linea di demarcazione con la Striscia di Gaza, il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman ha usato parole inequivocabili: «Abbiamo fissato regole di comportamento chiare e non intendiamo cambiarle. Chi si avvicina ai recinti di frontiera, rischiala vita». E sui palestinesi colpiti a morte: «La maggior parte di loro erano terroristi ben conosciuti, membri attivi dell'ala militare di Hamas e delta Jihad islamica, e non civili innocenti intenda dar vita ad una protesta civile». E ancora: «Quella è stata una provocazione organizzata ad arte dall'ala militare di Hamas, un tentativo di colpire la nostra sovranità». Israele invece non cerca provocazioni e non ha altri obiettivi in quella zona, ha assicurato, «se non quello di proteggere la vita dei civili israeliani che vi risiedono». Ben diverso il quadro tratteggiato da Human rights watch (Hrw). Secondo la Ong, la responsabilità dell'uccisione e del ferimento dei dimostranti è da attribuire agli «alti rappresentanti israeliani che illegalmente hanno invocato l'uso di munizioni vere contro manifestanti palestinesi che non costituivano un'imminente minaccia perla vita». Uccisioni che comportano - è la denuncia di Human rights watch - l'esigenza che «i giudici della Corte penale internazionale aprano una inchiesta formale per crimini in Palestina». «L'alto numero di morti e di feriti era la prevedibile conseguenza di aver consentito ai militari margine di usare forza letale al di fuori di situazione rischia vita in violazione delle norme internazionali, accompagnate da una cultura di lunga durata di impunità nell'esercito israeliano per gravi abusi». «I soldati israeliani - ha sostenuto Eric Goldstein, vice direttore dell'organizzazione per il Medio Oriente - hanno adoperato un uso eccessivo di forza». Sulla crisi si è alzata anche la voce del Consiglio della Lega Araba. Il Consiglio ha adottato all'unanimità un documento per chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e all'Assemblea generale di prendere le misure necessarie per aprire indagini «credibili, limitate nel tempo, e assicurare un meccanismo chiaro per giudicare i responsabili israeliani di questi crimini e risarcire le vittime palestinesi».

Camille Eid: "Riad rafforza l'asse con Israele"

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Camille Eid

Nuova apertura dell'Arabia saudita nei confronti di Israele. In un'intervista al magazine statunitense The Atlantic il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS) ha assicurato di non avere «nessuna obiezione» religiosa sull'esistenza di Israele e che gli israeliani hanno il «diritto» di avere il proprio Stato nazionale. «Credo che ogni persona, ovunque sia, abbia il diritto di vivere in una nazione pacifica. Credo che palestinesi e israeliani abbiano il diritto di avere la propria terra», ha detto MbS. Ma dobbiamo arrivare - ha puntualizzato il principe - ad un accordo di pace che assicuri la stabilita a tutti, impostando relazioni normali». Tutto questo nel giorno in cui il presidente Usa Donald Trump ha parlato al telefono con il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud: un colloquio a tutto campo sui nodi regionali, dalla Siria allo Yemen. ll principe 32enne ha poi spiegato che le uniche «preoccupazioni religiose» dei sauditi riguardano il destino della Spianata delle Moschee a Gerusalemme Est, annessa da Israele, che è il terzo sito più sacro dell'islam, e «i diritti dei palestinesi». «Il nostro Paese non ha problemi con gli ebrei», ha osservato ancora MbS nell'intervista rilasciata durante il suo lungo tour negli Stati Uniti, ma concessa prima delle recenti violenze avvenute a Gaza. Da mesi si moltiplicano i segnali di Riad verso Israele. Secondo indiscrezioni circolate già nello scorso ottobre, un «alto dignitario saudita» - molto probabilmente lo stesso MbS avrebbe compiuto una visita segreta in Israele in funzione anti-Teheran. E nel colloquio, il principe saudita è tornato ad attaccare l'Iran, definendo la sua massima autorità religiosa e politica, l'ayatollah Ali Khamenei, «l'Hitler del Medio Oriente». «Hitler ha tentato di conquistare l'Europa - ha detto MbS -, ma la Guida Suprema sta provando a conquistare il mondo». In merito all'accordo sul programma nucleare iraniano, il principe saudita ha contestato la scelta dell'ex presidente americano, Barack Obama, di scendere a patti con Teheran, appoggiando invece la linea politica dura di Donald Trump. «Il presidente Obama - ha rilevato MbS - credeva che se avesse dato all'Iran l'opportunità di aprirsi, sarebbe cambiato, ma un regime basato su questa ideologia non si aprirà presto». Intanto nel quadro della nuova legge saudita sui crimini informatici, Riad ha annunciato che spiare il telefono della propria moglie verrà considerato un reato, punibile con una multa salata e fino a un anno di reclusione.

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