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Avvenire Rassegna Stampa
14.01.2018 Avvenire odia Israele: la versione cattolica del Manifesto
Un cumulo di menzogne nel pezzo di Luca Foschi

Testata: Avvenire
Data: 14 gennaio 2018
Pagina: 14
Autore: Luca Foschi
Titolo: «Nel Golan gli ultimi cristiani in guerra contro l'oblio»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 14/01/2018,  pag.14 con il titolo "Nel Golan gli ultimi cristiani in guerra contro l'oblio " il commento di Luca Foschi.

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Luca Foschi

Raramente abbiamo letto un testo così falso in tutta la sua impostazione, ignora la storia e quindi ne falsifica il racconto, si direbbe che Foschi non conosca la storia dei drusi che vivono al confine con la Siria, in parte in Israele, in parte in Siria. La storia di Kuneitra se l'è inventata, se i cristiani sono scomparsi riguarda la Siria, non Israele, dove invece sono dal 1948 sempre in crescita. In quanto alle citazioni sul 'colonialismo' di Israele non ci vuole molto per trovare chi è disposto a farle, Israele è una democrazia, dove uno può inventarsi qualsiasi menzogna sicuro di non correre alcun rischio. La popolazione drusa in Israele vive una situazione difficile, perchè molti hanno parenti aldilà del confine siriano e temono le reazioni di Damasco, per questo preferiscono non esprimere apertamente critiche verso Assad, non scriverlo è il segno del più miserabile odio verso lo stato ebraico. 
Non stupisce che sia uscito sul quotidiano dei vescovi, Avvenire è da sempre la versione cattolica del Manifesto.

Chiediamo  soprattutto ai nostri lettori cattolici di scrivere al direttore Tarquinio se non si vergogna a pubblicare articoli diffamatori di Israele come quello di Foschi.

Conservo un ricordo indelebile del tempo in cui il Golan era siriano. Siamo arabi, portiamo dentro un forte sentimento per la comunità» scandisce in un rantolo Ibrahim Nasrallah. La moglie Montaha e la figlia Abir lo guardano, sospese: la mano obbligata a un tremito perenne sul bracciolo della sedia a rotelle, i tubi dove scorre l'ossigeno. Nelle stanze i cimeli religiosi sono ovunque, come se i Nasrallah, l'ultima famiglia cristiana di Majdal Shams, avessero da oltre mezzo secolo intrapreso una quieta battaglia all'oblio. Bastano pochi passi per incontrare il confine, la barriera di reti e filo spinato che si solleva sul pendio della montagna, supera la cresta e continua abbracciando la capitale drusa dell'Altopiano del Golan. Il territorio fu strappato da Israele con la fulminante vittoria del giugno 1967, e annesso alle leggi della Knesset con un decreto nel 1981. Per l'Onu il Golan rimane un territorio illegalmente occupato «Il mio paese, Quneitra, non esiste più. Gli israeliani lo rasero al suolo mentre si ritiravano, nel 1974», racconta Montaha Nasrallah. Con le due chiese di Majdal Shams distrutte dalle intemperie, la spiritualità è stata vissuta dai Nasrallah per radio o sullo schermo. A Ein Qiniyya, villaggio poco distante, la chiesa è sbarrata. Sono rare le liturgie organizzate in solidarietà per gli Adib, l'unica altra famiglia cristiana rimasta nel Golan, prima del 1967 casa per 18mila fedeli. «Avevo trent'anni nel 1967, facevo il maestro elementare da undici», continua con fatica Ibrahim Nasrallah. «Venni licenziato due anni dopo perché mi opponevo all'educazione nazionalista imposta dagli israeliani. Tornai ai campi, alle mele e le ciliegie». «Domenica 7 gennaio il governo israeliano ha imposto il nuovo sindaco», spiega Salman Fakhreddine, intellettuale e fondatore di al-Marsad, associazione che si batte per i diritti civili nel Golan. «Qui il colonialismo è legalizzato, Israele fa convergere tutte le risorse sulle colonie nate dopo la conquista». Il governo, sostiene Fakhreddine, ha fatto in modo che il ceto professionale e intellettuale emigrasse, o fosse assimilato. Solo il 10% degli abitanti del Golan ha tuttavia scelto di prendere il passaporto israeliano. La guerra civile siriana ha accelerato il processo, devastando le città e il sogno del ritorno. Nel racconto della guerra diverse fonti hanno accusato Israele di aver aiutato le forze salafite, soprattutto i qaedisti di al-Nusra. «Il governo ha fornito assistenza medica ai siriani feriti. Questo è un dovere per uno Stato, non deve essere politicizzato» afferma convinto Fakhreddine. Non è d'accordo Hossam, medico di quarant'anni. Indica la valle oltre la barriera, tace quando arrivano rare e invisibili le raffiche di mitraglia, e ripete una cronaca ricorrente fra gli abitanti del villaggio: «Israele ha fornito denaro, armi e cibo ad al-Nusra. Volevano creare una zona-cuscinetto contro Assad, l'Iran e Hezbollah. Per favorire il passaggio dei miliziani e nascondere l'operazione due mesi fa hanno interrotto per diverse ore l'energia elettrica del villaggio. Chi ha filmato gli incontri fra israeliani e terroristi è in prigione. Con l'aiuto degli abitanti drusi Assad ha liberato la zona. I combattimenti ora sono intorno ad Hadara, le ultime sacche di resistenza». «Sono sempre i più deboli a pagare per i giochi dei potenti», dice Ibrahim Nasrallah, che indica sul muro la foto della figlia Wafa, nel giorno delle nozze. Come tanti abitanti del Golan, Wafa ha potuto studiare a Damasco, è diventata medico ma non è tornata come previsto dalle fessure burocratiche concesse tramite la Croce Rossa e l'Onu. Sette mesi fa il diabete l'ha trascinata in un coma profondo. Israele nega la pèossibilità di ricongiungimento, impossibile tornare al limbo. «Aspetto Wafa, e aspetto di tornare alla madre Siria», sussurra il padre.

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