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Avvenire Rassegna Stampa
02.11.2016 Shoah e Nakba a confronto: il paragone ignobile sul giornale dei vescovi
Il responsabile è Fulvio Scaglione

Testata: Avvenire
Data: 02 novembre 2016
Pagina: 2
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «Vicino Oriente, la pace non è banale»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 02/11/2016, a pag. 2, con il titolo "Vicino Oriente, la pace non è banale", il commento di Fulvio Scaglione.

Il tono del commento di Scaglione è, come di consueto, ostile a Israele. L'ex vicedirettore di "Famiglia Cristiana", però, è responsabile di un paragone particolarmente ignobile quando descrive il messaggio lasciato dal Presidente Sergio Mattarella: "un messaggio a entrambe le parti, un invito a piangere la Shoah e la Nakba". In questo modo Scaglione:
- Attribuisce a Mattarella un riferimento alla Nakba che non c'è stato (mentre il Presidente italiano ha visitato il Memoriale della Shoah Yad Vashem a Gerusalemme)
- Mette a confronto due eventi che non possono essere paragonati. La Shoah è stato il tentativo di distruzione dell'ebraismo europeo tramite l'annientamento fisico, condotto industrialmente, degli ebrei. La Nakba è invece un fenomeno impugnato in modo pretestuoso dalla propaganda palestinese: il dislocamento di una parte della popolazione araba dai territori ottenuti da Israele con la guerra difensiva del 1948-49. Uno spostamento in parte frutto di scelta volontaria, in parte incitato dalla propaganda di entrambe le parti in conflitto, in parte dettato da comprensibile volontà di allontanarsi dai teatri degli scontri da parte della popolazione. Paragonare Shoah e Nakba è ignobile, ed è un modo per far passare il messaggio secondo cui gli israeliani sono i nuovi nazisti: una posizione aberrante.

Ecco l'articolo:

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Fulvio Scaglione

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Un manifesto che ricorda i 48 anni dalla Nakba. Si tratta in realtà di propaganda che incita alla distruzione di Israele. La mappa della regione infatti non è divisa in due Stati, ma prevede l'annientamento di quello ebraico, L'8, inoltre, assume la forma di un mirino con una macchia di sangue nel centro: si tratta di incitamento al terrorismo.

La visita del presidente Mattarella in Israele e in Palestina, pur conclusa con qualche anticipo per l'emergenza terremoto, è arrivata nel momento politicamente migliore. Non tanto perché sia ora possibile credere che un accordo tra israeliani e palestinesi sia alle porte, ma perché le circostanze hanno mostrato che, quando vuole, l'Italia in politica estera sa prendere senza timore posizioni autonome.

Arrivato in Israele appena dopo che la Ue aveva ribadito il diritto dei cittadini europei a partecipare alla campagna Boycott, Disinvestement and Sanctions contro Israele quale forma di «libertà di espressione e di associazione», il Presidente ha subito definito «inammissibile» il boicottaggio dello Stato ebraico. E questo avveniva a pochi giorni di distanza dalla ferma presa di posizione del premier Renzi e del Governo contro le risoluzioni dell'Unesco che facevano pensare a una sorta di monopolio islamico sui luoghi santi di Gerusalemme.

Nello stesso tempo, però, Mattarella ha ribadito con fermezza, sia in Israele sia in Palestina, che «la soluzione è quella dei due popoli e due Stati», secondo una formula che ha una lunga storia, ma è ormai respinta dal Governo israeliano (il premier Netanyahu a parole la auspica, ma per un tempo assai diverso da questo e molto molto futuro) ed è sempre stata invisa ai falchi palestinesi. Con un'altra frase importante, il nostro Presidente ha ricordato che «il culto della memoria non deve essere diretto ad alimentare i contrasti, rendendoli eterni». Anche in questo caso un messaggio a entrambe le parti, un invito a piangere la Shoah e la Nakba (in arabo "disastro", "tragedia": l'esodo, forzato o volontario, dei palestinesi durante la guerra di indipendenza di Israele) senza trasformarle in un randello ideologico che finisce per disperdere le residue speranze di pace.

Non sono molti, in Europa, i politici che oggi possono permettersi una simile franchezza. Abu Mazen, durante l'incontro con Mattarella, ha manifestato il proprio sostegno alla Conferenza di pace lanciata dalla Francia, e si è detto sicuro che l'Italia vi avrà parte importante. Certo è che nel nostro Paese lievitano, non da oggi, idee non banali sul Mediterraneo che potrebbero essere utilmente spese per il bene della regione fuori dal coro degli "schieramenti a prescindere". La pace non lo è mai, banale. E chiede anche alternative allo spartito che ci coinvolge, e che a suon di interventismi (l'attacco francese alla Libia nel 2011) ed esclusioni (il ruolo guida per la pacificazione della Libia cui il nostro Paese ambiva) negli ultimi tempi è stato interpretato assai male.

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