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Avvenire Rassegna Stampa
01.11.2016 L'ipocrisia di Pierbattista Pizzaballa su Gerusalemme
Intervista di Angelo Picariello

Testata: Avvenire
Data: 01 novembre 2016
Pagina: 12
Autore: Angelo Picariello
Titolo: «'Gerusalemme di tutti, l'Unesco ha sbagliato'»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 01/11/2016, a pag. 12, con il titolo "Gerusalemme di tutti, l'Unesco ha sbagliato", l'intervista di Angelo Picariello a Monsignor Pierbattista Pizzaballa.

Sostenere che Gerusalemme debba essere città aperta significa negare il legame indissolubile tra la capitale di Israele e l'ebraismo. Gerusalemme è sì città aperta a tutti, ma è anche la capitale dello Stato di Israele. Nessuno mette in dubbio il legame unico tra Roma e la Chiesa cattolica oppure tra La Mecca e l'islam, perché farlo quando si tratta di Gerusalemme? Non si tratterà forse del segno di una colossale ipocrisia?

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Michele Giorgio

Sul MANIFESTO di oggi, invece, compare l'ennesima prova della malafede di Michele Giorgio, che scrive un articolo, che non riprendiamo,  dal titolo "Mattarella loda Tel Aviv e la vice ministra rilancia: annetteremo la Cisgiordania". La notizia è quella della visita in Israele del Presidente della Repubblica, ma il quotidiano comunista non può fare a meno di indicare sempre, già dal titolo, quanto Israele non voglia la pace e sia interessata solo a conquiste e annessioni. Una menzogna totale che viene propinata anche riprendendo una non-notizia, come oggi. Che Israele voglia annettersi la Cisgiordania non sarebbe uscita nemmeno sul Corriere dei Piccoli.

Ecco l'intervista:

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Monsignor Pierbattista Pizzaballa

All'imbocco della Saint Helena road, la strada del Suk di Gerusalemme che conduce al Santo Sepolcro, l'eco delle preghiere del minareto si mescola col suono della campane della Basilica. In questo luogo tanto caro alla sua memoria il cristianesimo non regna, ma si afferma lo stesso, promuovendo la pace. Monsignor Pierbattista Pizzaballa la spiega cosl: «Non si tratta di una concessione in cambio di qualcosa, si tratta di testimoniare quel che siamo». Dopo un quarto di secolo in Medio Oriente, di cui 12 come Custode del Santo Sepolcro, monsignor Pizzaballa è rientrato in Italia a maggio.

Ma è durata poco. «Come per i discepoli di Emmaus, mi è stato chiesto di tornare a Gerusalemme». Dal mese scorso è amministratore apostolico del Patriarcato, vacante dopo la rinuncia per raggiunti limiti di età di monsignor Fouad Twal. Ma prima, il Santo Padre, lo ha nominato arcivescovo, l'investitura è avvenuta il mese scorso con una bella cerimonia nella cattedrale di Bergamo, la sua diocesi. C'è una fila lunghissima per accedere al Santo Sepolcro. Per tre giorni la Basilica era stata chiusa per lavori. Dopo quasi 500 anni è stata rimossa la pesante lastra di marmo che ricopriva quella che viene venerata come tomba di Cristo, si tratterà ora di effettuare degli studi - rigorosamente gestiti insieme dalle tre religioni, come tutto, qui - sulla natura della pietra e dello strato di riempimento rimosso, che ha riportato alla luce il marmo sottostante. Ieri, da poco riaperta, la basilica ha avuto un visitatore di riguardo nel presidente Sergio Mattarella. Una visita in forma riservata, ma salutato al suo arrivo con la figlia Luana da un "Fratelli d'Italia" fuori programma intonato da fedeli italiani. E stamattina Mattarella tornerà di nuovo nella Gerusalemme antica per incontrare nel vicinissimo patriarcato latino monsignor Pizzaballa.

Un Patriarcato molto particolare, Gerusalemme. Conta circa 160mila fedeli mettendo insieme i cattolici di rito latino e quelli di rito "romano". E, caratteristica davvero unica, tocca ben 4 Stati, includendo la Palestina, oltre a Israele Giordania e Cipro. Tanti riti cattolici e cristiani, e tanti popoli. Con la consapevolezza di essere una piccola minoranza e di dover dialogare con ebrei e musulmani. Come cristiani siamo poco più dell'un per cento, per metà cattolici dei diversi riti e per metà ortodossi.

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Gerusalemme e il Monte del Tempio

Come sono i rapporti con la Chiesa ortodossa? Sono molto migliorati, favoriti anche dall'incontro del Papa con il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I al Santo Sepolcro, due anni fa, un gesto che ha aiutato molto le relazioni fra noi.

E con ebrei e musulmani, invece? Non sono mai scontati, richiedono spesso di dover ricominciare. Perché c'entra sempre la politica, nel dialogo con ebraismo e islam. Il dialogo con le comunità e i capi religiosi va sempre avanti, ma poi la politica riveste con loro un ruolo importante.

Mattarella ha parlato di "stallo" nel processo di pace. I cattolici come possono favorirlo? I cattolici non possono non essere presenti con la loro testimonianza in questo "ginepraio". D'altronde la maggioranza dei cattolici è palestinese e quindi è parte del processo di pace.

C'è da essere comunque fiduciosi? Nel medio termine dalla politica istituzionale non ci aspettiamo molto. Questo è il momento dei piccoli gesti. Movimenti, associazioni, persone, che vivono dei momenti in comune tenendo accesa la fiammella dell'ideale. Ma in questo momento non vedo nella politica grande capacità di disegno. I piccoli segnali per ora si vedono nelle comunità locali, un giorno di potrà ripartire da là.

Ora si aggiunge questa polemica per la risoluzione dell'Unesco sul muro di Gerusalemme, che indispettisce mondo ebraico. Quel testo per com'è stato scritto non era necessario. Soprattutto da parte di un'istituzione internazionale che opera per favorire la pace. Il problema è che da parte di ognuno, qui, il proprio diritto ad esistere viene vissuto come negazione del diritto altrui. Invece Gerusalemme è una città aperta, di tutti. E quella dichiarazione non va in questa direzione. Anche noi non abbiamo dato un grande esempio, al Santo Sepolcro, in passato, litigando per gli stessi spazi abbiamo fatto parte delle stesse dinamiche. Ma ora abbiamo superato l'errore. Gerusalemme deve essere il luogo in cui tutti si sentono a casa loro.

Che cosa abbiamo imparato nel frattempo? Abbiamo imparato che il Cristianesimo non si afferma prevalendo sull'altro, ma in relazione con l'altro. Il perdono fa parte dell'esperienza cristiana. Perdonati come siamo stati da Cristo ci rendiamo riconoscibili da questo atteggiamento.

Questo Giubileo che cosa sta portando in una terra che ha tanto bisogno di misericordia e perdono? Se facciamo ancora tanta fatica a perdonare vuol dire che c'è ancora tanto cammino da fare. Si tratta di continuare a percorrere questa strada indicata dal Papa, in un percorso come il nostro segnato da tante ferite.

La partecipazione dei fedeli ha risentito della paura ingenerata dal clima di guerra in Siria e dal timori per una pace che non arrivai? I fedeli locali sono venuti, in tanti. Sono però calati moltissimo gli europei e gli italiani. I dati migliori sono quelli dell'America latina e dell'Asia.

Che cosa si sente di dire per invitare i fedeli a venire più numerosi, dove "tutto" è incominciato? Abbiamo bisogno di sentire vicina la Chiesa universale. Non che ci sentiamo soli, assolutamente. Ma la solidarietà ha bisogno anche di gesti concreti. Ricordando che tutto è nato qui, e soprattutto che non c'è motivo di temere: i pellegrinaggi avvengono in assoluta sicurezza.

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