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Avvenire Rassegna Stampa
20.01.2016 'Avvenire': simpatia per i 'poveri' terroristi palestinesi, condanna a priori verso Israele
La solita distopia del quotidiano dei vescovi

Testata: Avvenire
Data: 20 gennaio 2016
Pagina: 17
Autore: B.U.
Titolo: «Israeliana uccisa, in cella 16enne palestinese»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 20/01/2016, a pag. 17, con il tito0lo "Israeliana uccisa, in cella 16enne palestinese", la cronaca di B.U.

Ennesimo pezzo di spudorata disinformazione da parte del quotidiano dei vescovi. L'assassino di una donna israeliana viene descritto come "il palestinese ritenuto responsabile dell’uccisione a coltellate di Dafne Meir". La sua responsabilità è certa, lo stesso padre del terrorista ha esaltato il "gesto eroico" del figlio, eppure per Avvenire è soltanto "ritenuto" responsabile. La vera notizia - falsa - che riporta il pezzo, d'altronde, non è naturalmente l'omicidio compiuto dal terrorista, ma la distruzione della sua abitazione dopo l'attentato. E questo, chiosa ipocritamente il quotidiano, "non fa che esacerbare tensioni già fortissime". La solita condanna a priori dello Stato ebraico, colpevole in ogni caso.

Ecco l'articolo:

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L'esercito israeliano e lo Shin Bet (la sicurezza interna), in un’operazione congiunta, hanno arrestato il palestinese ritenuto responsabile dell’uccisione a coltellate di Dafne Meir, un’infermiera israeliana di 38 anni aggredita domenica nella sua casa nell’insediamento ebraico di Otniel, in Cisgiordania. I militari hanno detto che si tratta di un ragazzo di 16 anni di Yatta, un villaggio vicino a Hebron. Secondo fonti palestinesi, il giovane si chiama Badr Abdullah Murad Adeis.

Ai media locali il padre ha detto che in nottata la sua abitazione è stata «invasa» dai militari arrivati per arrestare il figlio. «Sono fiero di lui» ha aggiunto. Le Forze di sicurezza avrebbero individuato il ragazzo grazie alle telecamere dell’insediamento. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha subito ordinato la distruzione della casa del palestinese. Misura, quest’ultima, ripetutamente adottata dalle autorità israeliane nel corso degli ultimi mesi, macchiati dal sangue della cosiddetta “Intifada dei coltelli”.

Misura che, però, non fa che esacerbare tensioni già fortissime tra le due parti in conflitto. «Terra» e «casa» sono le due parole che, più di ogni altra, sollecitano sensibilità e toccano ner vi scoperti. Le demolizioni delle abitazioni palestinesi, e soprattutto le costruzioni di case per gli israeliani negli insediamenti, restano l’ostacolo più grande al riavvio del negoziato.

Proprio ieri è stato pubblicato un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) che chiede ad aziende e compagnie di smettere di finanziare, fornire servizi e avere rapporti commerciali con le colonie israeliane nei territori occupati palestinesi. Il documento, di 162 pagine, si intitola «Occupazione S.p.A. Come le aziende delle colonie contribuiscono alla violazione dei diritti dei palestinesi da parte di Israele» e mette in evidenza che quelle attività commerciali «contribuiscono alla confisca di terre palestinesi da parte delle autorità israeliane e alle politiche discriminatorie che forniscono privilegi ai coloni a spese dei palestinesi, come l’accesso alla terra e all’acqua, i sussidi governativi e i permessi per sviluppare il territorio».

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lettere@avvenire.it

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