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Avvenire Rassegna Stampa
29.10.2011 Il quotidiano dei vescovi italiani razzista e xenofobo
Naturalmente solo nei confronti di Israele

Testata: Avvenire
Data: 29 ottobre 2011
Pagina: 30
Autore: La Redazione di Avvenire
Titolo: «In Israele il calcio ormai parla arabo»

Che AVVENIRE, tranne rarissime occasioni, dimostri nei confronti di Israele solo ostilità (per non dire di più) è un fatto. In questo pezzo, uscito oggi 29/10/2011 a pag.30, con il titolo " In Israele il calcio ormai parla arabo ", a cura della redazione, AVVENIRE assume toni razzisti e xenofobi, nei confronti soprattutto dei cittadini arabi israeliani. Chi in Italia si sarebbe mai sognato di fare classifiche tra giocatori del nord o meridionali, italiani oppure stranieri ? Chi mai l'avesse fatto si sarebbe, giustamente, attirato ogni sorta di critiche, comprese quelle di razzista e xebofobo.
Trattandosi di Israele, tutto è consentito.
Anche quando si tratta di notizie che riguardano il mondo dello sportAVVENIRE deve sempre mettere in evidenza che in Israele vige l'apartheid citando le parole di un deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi: "il mondo dello sport che conta resta solitamente precluso agli arabi d'Israele, con la sola zona franca del calcio: da qui la predilezione per questa disciplina, anche oltre i rocciosi muri che continuano a dividere la regione". il "muro" è per il 90% una recinzione che protegge Israele da attacchi terroristici, ma per AVVENIRE questo è, evidentemente, un dettaglio.
Ecco l'articolo:

 TEL AVIV Il calcio israeliano cambia volto ed è sempre più arabo. Lo si avverte ovunque: nei campi di periferia, fra le squadre giovanili, nei club di serie A e, ormai, anche nella Nazionale biancoceleste con la stella di Davide. Le statistiche di quest'anno sono eloquenti. Gli attaccanti più in vista - Wissam Amasha e Ahmed Saba - sono arabi, come quattro delle dieci punte più prolifiche. Dei 192 goal realizzati finora nella massima serie, 39 sono stati frutto dell'estro di giocatori israeliani non ebrei. L'onore "pallonaro" degli arabi d'Israele (i1 20% dei 7,5 milioni di abitanti) è tenuto alto non più solo dalla loro squadra di bandiera, il Bnei Sakhnin (Galilea). Infatti, anche i club più in vista si contendono le vedettes dell'altra "sponda"; considerate talora più prestanti, sovente più fantasiose, quasi sempre più determinate in campo. Tanto che il Maccabi Netanya ha affidato a un arabo la fascia di capitano. Una tendenza alla quale non si allinea il Beitar di Gerusalemme - legato storicamente alla destra nazionalista israeliana e con una tifoseria che in passato ha avuto ripetute espressioni di xenofobia. Di stagione in stagione, inoltre, la presenza araba si fa sempre più folta anche in Nazionale. Nelle squadre giovanili la tendenza è ancor più marcata e c'è già chi prevede che in un futuro non lontano solo un giocatore professionista su due sarà ebreo. Il fenomeno - che ha acceso l'interesse della stampa sportiva e della televisione - ha profonde ragioni sociologiche, azzarda qualche studioso. I giovani arabi in Israele, specialmente quelli che vivono in aree periferiche, sono molto più abituati a praticare il "calcio di strada" dei coetanei ebrei, che trascorrono più tempo davanti al computer o alla tv. D'altronde, provenendo da una minoranza non di rado marginale, essi vedono l'impegno sportivo come un meccanismo d'emancipazione dal disagio e una speranza di benessere per se e le loro famiglie. Secondo Ahmed Tibi, deputato araboisraeliano alla Knesset (il Parlamento), il mondo dello sport che conta resta solitamente precluso agli arabi d'Israele, con la sola zona franca del calcio: da qui la predilezione per questa disciplina, anche oltre i rocciosi muri che continuano a dividere la regione. Tibi sottolinea come il fenomeno, del resto, non sia confinato a queste latitudini: anche in Europa, afferma, il numero dei giocatori musulmani è in crescita costante. La stampa locale segue in ogni modo, e con una certa simpatia, questi sviluppi. I giovani arabi, scrive, si distinguono per impegno, dedizione, virtù agonistiche. E la loro ascesa nello sport del pallone (raro elemento unificante fra le passioni di massa di ebrei e arabi) potrebbe far bene non solo al calcio israeliano, ma anche alla coesione del Paese.

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