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Avvenire Rassegna Stampa
25.11.2008 Arresti a Teheran contro "spie israeliane"
dialogo a Gerusalemme tra cultura italiana e israeliana: due notizie dal Medio Oriente

Testata: Avvenire
Data: 25 novembre 2008
Pagina: 16
Autore: la redazione - Laura Silvia Battaglia
Titolo: «Catturate in Iran spie israeliane -Appelfeld: «Noi scrittori per la pace» - Da oggi a Gerusalemme i «Dialoghi italo-israeliani» per un ponte fra le culture»
Da pagina 16 di AVVENIRE del 25 novembre 2008, l'articolo "Catturate in Iran spie israeliane":

A lcune persone accusate di far parte di «una rete di spionag­gio » israeliana in Iran sono state arrestate, secondo quanto an­nunciato ieri dal capo dei Pasdaran (Guardiani della rivoluzione), Moham­mad Ali Jafari due giorni dopo la noti­zia che un ingegnere iraniano, Ali A­shtari, era stato impiccato per spio­naggio in favore dello Stato ebraico.
  Jafari, che parlava alla televisione di Stato, non ha precisato il numero né la cittadinanza degli arrestati, ma ha det­to che «saranno presto resi noti docu­menti » in proposito e ha sottolineato che le attività di spionaggio degli arre­stati riguardavano anche il program­ma nucleare della Repubblica islami­ca.
  Negli ultimi giorni sono tornate a cir­colare insistentemente notizie di stam­pa circa un possibile attacco militare i­sraeliano contro gli impianti nucleari iraniani. Domenica, in particolare, il quotidiano israeliano “Haaretz” ha scritto che il Consiglio nazionale per la sicurezza presenterà il prossimo mese al governo un documento sulle scelte strategiche da adottare, in cui vi sareb­be il suggerimento di prepararsi con-
cretamente ad un’eventuale azione mi­litare contro il programma atomico della Repubblica islamica, considera­to «una minaccia esistenziale».
  Tanto più che nel frattempo l’Iran pro­segue a spron battuto nei suoi proget­ti missilistici. Due vettori, lo Shahab­3 e il Seijil, quest’ultimo sperimentato recentemente, sarebbero in grado di raggiungere il territorio israeliano con la loro gittata di circa 2.000 chilometri. Il presidente iraniano, Mahmud Ah­madinejad, ha più volte affermato di non credere ad un attacco dell’avia­zione israeliana, ma dell’ipotesi sono tornati a parlare negli ultimi giorni i vertici militari della Repubblica isla­mica.
 
Il capo di Stato maggiore dei Pasdaran, Seyed Mohammad Hejazi, ha lanciato due giorni fa un avvertimento a tutti i Paesi della regione, affermando che «se un qualsiasi danno venisse inflitto al­l’Iran, chiunque avesse aiutato l’ag­gressore subirebbe dolorose conse­guenze ». È sullo sfondo di queste crescenti ten­sioni che Teheran ha reso note una se­rie di operazioni anti-spionaggio con l’intento, hanno sottolineato le stesse autorità iraniane, di mostrare la pro­pria capacità di far fronte ad ogni mi­naccia. Gli arrestati di cui si è avuta no­tizia ieri erano, secondo Jafari, «ele­menti di una rete di spionaggio del Mossad», intenti a «raccogliere notizie e importanti informazioni sui Pasda­ran, su organizzazioni competenti per la tecnologia nucleare e su responsabili per la sicurezza militare».
  Gli accusati, ha aggiunto, erano stati «addestrati in Israele» e avrebbero an­che
dovuto compiere attentati e «as­sassinii ». Il comandante dei Pasdaran non ha detto se questa operazione sia legata a quella che ha portato alla condanna a morte di Ashtari o agli arresti, annun­ciati nello stesso giorno, di «quattro membri di un’organizzazione terrori­stica » nel Kurdistan iraniano, che sa­rebbero stati trovati in possesso di ar­mi israeliane.

Da pagina 27, l'intervista di Laura Silvia Battaglia allo scrittore Aharon Appelfeld: "Appelfeld: «Noi scrittori per la pace»":

I mpegno e letteratura. Scrittori e passione civile. Un tema non da poco, attuale negli anni Settan­ta e attuale ancora oggi. Specie se visto con gli occhi di chi vive in Me­dio Oriente, consapevole che una parola, anche una sola, può sposta­re il confine tra incomprensioni se­colari al di qua o al di là del dialogo. Questo tema, quello dell’impegno, appare sempre più necessario in I­sraele; e, non a caso lo si dibatterà da oggi al 27 novembre, a Gerusa­lemme, all’Istituto Van Leer, nella forma dei Dialoghi italo-israeliani. Interverranno vari scrittori, fra cui Aharon Appelfeld, docente all’uni­versità Ben Gurion del Negev. Au­tore di Storia di una vita (Giuntina, 2002) e di Badenheim 1939 (Guan­da, 2007), Appelfeld è uno dei più autorevoli fautori del dialogo tra culture. Sorpavvissuto all’orrore dei campi di concentramento, non perde mai occasione per ricordare che la scrittura è un linguaggio uni­versale e che la memoria un bene da coltivare sopra ogni cosa. Il suo contributo ai Dialoghi italo-israe­liani, parte proprio da qui, dal 're­taggio della memoria' e dalla sua funzione in letteratura.
  «La letteratura non può prescinde­re dalla riflessione e dall’uso del tempo. Essa si serve della storia che di per sé è il passato, ma il passato storico, in letteratura, diventa pre­sente e futuro. E la letteratura ha bi­sogno di tutti e tre, è un risultato del tempo in tutte le sue declinazioni. Perché, se la letteratura si allontana dal passato e si occupa solo del pre­sente è giornalismo; se si allontana dal presente e racconta il futuro, di­venta fantascienza. La memoria sto­rica è passato, ma ciò che ricordia­mo, nel momento in cui lo riportia­mo alla mente, diventa presente. Tutto ciò che vive nella memoria, dunque, è presente anche se è già passato, e si proietta nel futuro, ad un tempo. Lo vivo io stesso, quan­do ripenso alla mia fanciullezza e alla mia esperienza nei campi di concentramento. Ma lo è in genere per tutti gli eventi nella vita di un uomo e per quelli che, vivendo gli uomini nel mondo, fanno la storia».

 Lo scrittore italiano Claudio Magris sostiene che non sia giusto chiede­re scusa per i crimini o per i geno­cidi commessi dai nostri padri. Non è una tesi che può prestare il fian­co a manipolazioni indebite, alla perdita della memoria storica?

 «Il passato non si dimentica, non è da dimenticare. Se noi dimenticassimo, saremmo peggiori,. Come si fa a di­menticare? Se dimenticassimo sa­rebbe anche più difficile e più peri­coloso vivere. Se invece intendiamo questa riflessione come un modo per ricordare che per gli errori della storia, dei padri, i loro figli e successori non ne han­no colpa, posso anche essere d’accordo. Anche se gli erro­ri della storia, vuoi o non vuoi, inevitabilmente ricadono ad­dosso a chi la storia la vive».

 Cosa ne pensa del Partito per la Pace fondato da scrit­tori israeliani come Amos Oz, David Grossman, A­braham Yehoshua?

 «Apprezzo le persone impegnate in politica. Ma io non sono un politi­co e non credo nella politica come l’unica strada per mostrare e dimo­strare a tutti il proprio impegno. Quello che voglio dire è che si può fare politica in molti modi, se per politica intendiamo testimonian­za, partecipazione allo sviluppo so­ciale per il bene e la crescita della società stessa. Non si tratta di met­tere la testa sotto la sabbia ma di sa-

 




Lo scrittore Aharon Appelfeld
 pere dove e come puoi fare il tuo do­vere e dove e come è meglio farlo. Bisogna trovare una propria via, u­na propria strada per fare 'politica' e non sono tutte uguali. Quindi, ap­prezzo i colleghi e la loro proposta, ma non mi metterei in prima fila
con una bandiera del Partito per la Pace. Ho scelto un’altra modalità per fare politica».
 Quale? Ce la può spiegare?

 «Credo che per uno scrittore il massi­mo impegno politico, il primo dovere - direi - sia la comprensione. Suscita­re, incoraggiare, stimolare la com­prensione. La comprensione delle dif­ferenze, che è quella che consente di superare la paura degli altri e di supe­rare anche la paura di se stessi. Per­ché
bisognerebbe anche capire e com­prendere se stessi. Ecco, il mio obiet­tivo è stato sempre quello di fare in modo che le persone si capissero. An­che quando ero bambino e dovevo sforzarmi per farmi capire da russi, u­craini, ebrei, tedeschi. Da criminali e soldati. Nel campo di concentramen­to o in un rifugio di ladri e prostitute. E magari anche a metterli d’accordo tra loro. Per il resto, il mio contributo 'politico' è quello di aiutare le perso­ne ad andare oltre la superficie e ad essere critici senza ottusità».
 Il migliore impegno per Aharon Ap­pelfeld come uomo?

 «Insegnare. Insegnando si possono fare cose magnifiche. Come quella di fare sedere insieme - cosa che mi capita ogni giorno - settanta stu­denti tra drusi, americani ed ebrei. Qui entro in gioco io: il mio compi­to è tenerli insieme facendo in mo­do che si capiscano tra di loro. Leg­gere i testi, tutti i testi, e leggerli tut­ti insieme, è il primo passo. Indub­biamente ci sono molte differenze tra il
Qohelet e un romanzo ameri­cano contemporaneo, ma la com­prensione comune di quei testi aiu­terà anche gli studenti a compren­dere le ragioni altrui, nelle loro vite. Questo è il mio modo di dialogare, un modo molto letterario, non c’è dubbio, perché la letteratura tocca la nostra intimità più profonda».
 La letteratura è un dialogo familia­re, allora, Appelfeld, non è mica un comizio, per lei...

 «È una questione - come dire - inti­ma. Sempre che si parli dando a­scolto all’anima, alla natura miglio­re
dell’uomo».
 «Ma il massimo impegno politico di un narratore è la comprensione. Perciò mi piace insegnare ai giovani, cercando di far capire le differenze»


Infine, sempre da pagina 27 di AVVENIRE, un colloquio con Abraham B. Yehoshua:

Abraham Yehoshua si attende «un grande confronto» e Clau­dio Magris parla di «affinità profon­da » e saranno proprio loro due a dare il via ai Dialoghi letterari italo­israeliani che si aprono oggi a Geru­salemme con la partecipazione del presidente Giorgio Napolitano - in visita di Stato in Israele - e quella del suo collega Shimon Peres. Organiz­zato dall’Istituto italiano di cultura di Tel Aviv, diretto da Simonetta Della Seta, i Dialoghi vedranno così ses­santa autori - saggisti, romanzieri, cri­tici e poeti fortemente impegnati in Italia e Israele - confrontarsi sul te­ma principale del convegno, 'La let­teratura e l’impegno'. «Le relazioni fra i due paesi - dice Yehoshua - so­no strettissime: sono moltissimi i li­bri italiani tradotti in Israele come al­trettanto numerosi quelli israeliani tradotti in Italia. Ho grandi aspetta­tive da questo incontro che segue il successo della Fiera del libro di To­rino dedicata ad Israele». Gli fa eco Magris: «Con Yehoshua ho una gran­de affinità personale oltre che lette­raria. Uno dei temi scelti per il con­fronto è quello dell’identità anche in rapporto con l’esasperazione del particolarismo. Ma anche le nuove frontiere dell’identità stessa: quel pas­sare da una sponda all’altra con gran­de rapidità che caratterizza una par­te della letteratura moderna. Così come indagheremo sulle diversità tra le due rispettive letterature». Per lo scrittore israeliano quella italiana è caratterizzata da un intreccio tra «il mondo famigliare e l’ideologia», men­te quella israeliana è percorsa ap­punto dal problema dell’identità.
  «La letteratura - aggiunge ancora Ma­gris - non giudica nè dà voti di con­dotta alla vita, che scorre al di là e al di qua del bene e del male, ma iden­tificarsi con la vita implica identifi­carsi anche con tutti i suoi aspetti...». Va ricordato che il dialogo tra scrit­tori italiani e israeliani ha un senso ri­levante, visto che in Israele il ponte letterario tra i due Stati ha creato un vero e proprio »abbraccio culturale«. Per dare qualche cifra, sono oltre 70 gli autori israeliani tradotti e molto amati dal pubblico italiano e altret­tanti sono quelli pubblicati in Israele e diventati spesso dei bestseller.


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