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Rula Jebreal non si smentisce mai
Spett. Redazione de "Le invasioni barbariche",
 
Nella puntata di questo venerdì del Vostro programma su La7 la conduttrice Daria Bignardi ha intervistato la giornalista palestinese (ma cittadina israeliana) Rula Jebreal. Riguardo ad alcune affermazioni della Jebreal, credo sia opportuno fare una critica.
L'intervistata ha spiegato perché è felice di essere arrivata a 30 anni, perché non credeva di arrivare viva a 30 anni. La giornalista ha detto che dov'è nata lei - Haifa, Israele - è normale morire a causa della guerra. Rula Jebreal doveva essere meno reticente, i disinformati telespettatori italiani potrebbero aver creduto che gli israeliani uccidano i civili arabi, giovani donne comprese. Vorrei dire che, per quanto il Medio Oriente sia un luogo fra i più turbolenti, Haifa - e con essa tutta Israele - è un posto vivibile, nonostante il terrorismo, terrorismo palestinese, abbia mietuto in cinque anni oltre mille vittime innocenti in tutta Israele, vittime israeliane. Forse Rula intendeva dire che anche gli arabi di Haifa condividono gli stessi rischi della maggioranza ebraica, convivendo nella stessa città, ma perché non è stata più chiara?
Poi la giornalista palestinese ha parlato della sua infanzia, vissuta in un orfanotrofio, fondato nel '48 "all'inizio dell'occupazione israeliana". Forse le parole non sono esattamente queste, ma il senso era questo: già nel '48 Israele "occupava". Cosa di grazia? Per Rula Jebreal la stessa esistenza di Israele è una "occupazione"? (Già l'anno scorso, ospite del programma di Masotti su Raidue, disse di essere vissuta sotto "l'occupazione").
Infine, un'ultima cosa. La Jebreal ha fatto notare che lei ha il passaporto israeliano, a differenza di sua sorella, che non è nata a Haifa. Diciamo che Rula si è confutata da sola. Diverse volte ha tacciato Israele di razzismo, lo ha accusato di praticare la discriminazione razziale, e ora si evince dalle sue stesse parole che la cittadinanza nello Stato ebraico è legata al territorio, non all'etnia.
Distinti saluti,
 
Diego Melpignano

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