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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Liliana Segre, Enrico Mentana - La Memoria rende liberi - 15/01/2015

La Memoria rende liberi
Liliana Segre e Enrico Mentana
Rizzoli (formato epub) euro 9,99

Poi un giorno a tavola tuo padre ti dice che non puoi più frequentare la scuola, che non andrai in terza elementare. Hai 8 anni e non capisci. Ti dicono che ci sono «nuove leggi» e che per gli ebrei ora è così. E pazienza se per te essere ebrea fino a momento significa soltanto l’esonero dall’ora di religione. Ma c’è qualcosa di peggio del non poter più andare a scuola: è l’indifferenza degli altri, il silenzio, l’alzata di spalle della maestra Cesarina che, invitata a casa per darti conforto, dice «non le ho mica fatte io le leggi». E poi le compagne che non ti cercano più, il vicino di casa che smette di salutare la tua famiglia, gli amici che spariscono. Liliana Segre, partita, insieme al padre Alberto, dal binario 21 della stazione Centrale di Milano quando aveva 13 anni, da Auschwitz è tornata viva, a differenza dei nonni paterni, del padre («uomini a destra e donne a sinistra. E poi non lo vidi più») e di molti amici, parenti, conoscenti.

Per oltre quarant’anni ha vissuto nel silenzio: «Con certe persone non parli perché sai che non potranno mai capirti, con altri perché sai che hanno già capito tutto, con altri ancora perché il passato ti soffoca e vorresti solo pensare al futuro». Non toccare mai quell’argomento, le dice la superiora delle Marcelline quando torna a scuola dopo il lager. Ed è davanti a una platea di suore, in quello stesso istituto, che nel 1990 Liliana Segre fa le prove generali e parla, per la prima volta. Non smetterà più. Ed è in questa direzione, la testimonianza, che vanno due libri usciti in questi giorni, quasi contemporaneamente, in cui racconta la sua storia. Lo fa con registri diversi: per i ragazzi in Fino a quando la mia stella brillerà (Piemme), scritto con Daniela Palumbo con la prefazione di Ferruccio de Bortoli; per un pubblico adulto in La memoria rende liberi (Rizzoli) con Enrico Mentana.

Sempre in prima persona, con parole precise, dure (anche quando si rivolge ai ragazzi) che, come scrive Mentana nella prefazione a La memoria rende liberi, rivelano la «stessa capacità di enucleare con apparente distacco gli elementi indispensabili per capire la sequenza di fatti, ferocia, connivenze e casualità, sul piano inclinato di quella cacciata da scuola fino a Auschwitz e ritorno, che ha reso ancor più indispensabili le opere di Primo Levi». La bella casa di corso Magenta dove viveva con il padre e i nonni (della madre, morta quando lei ha meno di un anno, restano solo i bei ritratti), la scuderia, la ditta della famiglia si dissolvono un pezzo alla volta nella quasi incredulità del padre che fino all’ultimo pensa che le cose miglioreranno, che la follia del fascismo finirà, che tutto tornerà come prima. Liliana fa vivere al lettore quella stessa incredulità, come riesce a far sentire quel distacco che, dentro il campo di concentramento, le permette, scrive de Bortoli, di «non concedere ai suoi carcerieri il dominio della sua mente». E come riesce a far vedere il ritorno alla stazione Cadorna, circondata da macerie, con il solo bagaglio di una coperta, la giacca che indossava nel campo e il fazzoletto che aveva in testa fino a una casa che non è più sua. Sono i dettagli che dicono tutto: il battesimo coatto a cui il padre la sottopone nel tentativo di salvarla; il dolore asciutto («Quando diventai mamma, dai primi giorni di Auschwitz, piansi di nuovo»); i parenti che vogliono farla dimagrire («ero grassa, ma io per mesi e mesi dopo il lager continuai ad avere una fame atavica, insaziabile»); la spiaggia di Pesaro in cui incontra il marito Alfredo, il suo «ritorno alla vita». Conoscere la sua storia fa male, ma è necessario.

Cristina Taglietti - Corriere della Sera


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