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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Yoram Kaniuk Sazio di giorni 12/05/2014

Sazio di giorni                                                             Yoram Kaniuk
Traduzione Ofra Bannet e Raffaella Scardi
Giuntina                                                                          euro 12


Yoram Kaniuk, Sazio di giorni




 

 

 

 

Una stanza vuota dopo l’altra, spazi vuoti e un poco polverosi, che rimbombano ai nostri passi. Li attraversiamo svogliatamente, in attesa di meglio. Alla fine, dopo aver aperto anche l’ultima porta, ci arrestiamo increduli. Tutto qui, questa sarebbe stata la nostra vita? Nulla di più? Nessun tempio, o reggia, o alcova. Solo un appartamento anonimo, disadorno. Immaginate di prendere tra le mani il pomolo, o di girare la chiave. Figuratevi la speranza e la disillusione che v’invadono. Se volete, potete continuare a leggerlo, questo racconto che attrae e respinge allo stesso tempo, e far finta che sia la storia di qualcun altro. Sazio di giorni di Yoram Kaniuk, il grande vecchio della letteratura israeliana scomparso da quasi un anno, sa di chiuso e di malinconia, come la casa in cui abbiamo immaginato per un attimo di perderci. È quasi un romanzo, quasi un’autobiografia. Quasi sconfortante e quasi ottimista. Proprio questo piccolo, insignificante, irrinunciabile avverbio, «quasi», fa da insegna a tutto il libro. Orlov, il protagonista, sarebbe forse un buon pittore. Ha ottima mano, gusto per le ombre, e facilità di tratto. Ma gli piacciono i volti e i profili, in un’epoca in cui l’arte predica l’astrazione. E così deve rassegnarsi a vivere da artista fallito, buono solo a ritrarre i morti. Eppure, dalla sua sconfitta esistenziale Orlov sa guardare lontano, e vedere quello che gli altri, i vincenti, non riescono a scorgere. Tutto il cosmo è avvolto nel velo di un eterno quasi. Prendete Dio, per esempio. I credenti sono sicuri che esista, gli atei spergiurano che non c’è. Orlov sa che colui che «fa la pace e crea il male», come dice il vecchio profeta Isaia, abita una sfuggente semi-esistenza. Allo stesso modo, amore è possesso e perdita, estasi e impietosa banalità. E l’arte? Perché mai un uomo ricco e sicuro di sé dovrebbe collezionare con passione maniacale i quadri del nostro pittore infelice, chiuderli in una stanza irraggiungibile e contemplarli come il più arcano dei segreti? Per saperlo, girate il pomolo e varcate l’ultima soglia.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore


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