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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Zeruya Shalev, Quel che resta della vita 14/01/2014

Quel che resta della vita                   Zeruya Shalev
Traduzione di Elena Loewenthal
Feltrinelli                                                Euro 17

Leggere i romanzi di Zeruya Shalev, una delle voci più alte della narrativa di genere in Israele, significa confrontarsi con una prosa intensa, minuziosa, capace di sondare gli stati d’animo più nascosti e di raccontare, come poche altre, le tensioni sentimentali fra uomo e donna e i conflitti fra genitori e figli.
Nata a Gerusalemme nel 1959 nel kibbutz Kinneret, è autrice di romanzi, libri per bambini e di un’ opera di poesia. In Italia la casa editrice Frassinelli ha fatto conoscere questa straordinaria scrittrice pubblicando tre romanzi: “Una relazione intima” nel 2000, “Una storia coniugale” nel 2001 e “Dopo l’abbandono” nel 2007.
Scampata ad un grave attentato terroristico, Zeruya Shalev torna in libreria con la sua opera più matura, pubblicata da Feltrinelli nella limpida versione di Elena Loewenthal dal titolo “Quel che resta della vita”.
Un racconto fluviale, intenso, travolgente dove l’autrice affronta con efficacia i grandi temi della vita: l’amore, la sessualità, la vecchiaia, le derive esistenziali in cui si dibattono gli uomini e le donne giunti alla mezza età. Ma Shalev non lesina neppure i conflitti che albergano fra genitori e figli adolescenti e sin dalle prime pagine il lettore si trova coinvolto e a tratti invischiato in situazioni di grande affinità emotiva.
Tre generazioni di donne interagiscono nel romanzo: Hemda Horowitz, una donna anziana educata da un padre inflessibile secondo la rigida ideologia del kibbutz, si congeda dalla vita ripercorrendo gli errori compiuti come madre e come moglie, consapevole di aver vissuto “troppo presto o troppo tardi”; Dina, la figlia, vera protagonista del romanzo, anch’ella privata dell’amore materno a beneficio del fratello Avner, è ossessionata dal desiderio di una nuova maternità che però l’orologio biologico le impedisce di realizzare. Per questo cerca, senza trovarla, la complicità del marito Ghideon, fotografo dai modi sbrigativi e freddi e gli propone di adottare un bambino; Nitzan, figlia unica di Dina e Ghideon, all’età di sedici anni racchiude in se tutte le contraddizioni, le debolezze e le insensibilità dell’adolescenza, un periodo della vita nel quale i giovani si dibattono fra attaccamento alla famiglia e prepotente desiderio di autonomia.
Non mancano nel romanzo gli uomini, spesso deboli ed egocentrici, alla costante ricerca di attenzioni e a volte in competizione con i figli, si lasciano travolgere dalla complessità della vita matrimoniale scegliendo come rimedio la “fuga”: un tentativo, in genere mal riuscito, di evadere dalle difficoltà e dalle ipocrisie che si celano all’interno di una coppia.
In tutti i protagonisti - e questa è la vera forza del romanzo – spicca la speranza e la volontà di cambiare, di dare un senso alla propria esistenza per non gettare al vento “quel che resta della vita”.
Quelle di Zeruya Shalev sono pagine che incidono la coscienza, che fanno riflettere sui passaggi della vita, ricche di emozioni intense ma che vanno centellinate perché la cifra linguistica di questa scrittrice può risultare eccessivamente prolissa nella disamina minuziosa dei moti dell’animo, dei gesti, delle peculiarità specifiche dei personaggi, così magistralmente ritratti.
Un romanzo da assaporare lentamente soffermandosi su alcune pagine più intense, rileggendo quelle più oscure, fino a scoprire l’immensa ricchezza che si cela, per ogni uomo e ogni donna, nel messaggio di speranza e nel potere salvifico dell’amore racchiusi nelle ultime pagine del libro.

Giorgia Greco


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