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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Joseph Roth, La quarta Italia 25/11/2013

La quarta Italia                                      Joseph Roth
Castelvecchi                                          euro 8

Quattro servizi raccontano l'Italia del 1928 tra censura e spie che non passano inosservate.
Immaginate un Paese così: dove le spie portano sgargianti cravatte, i seguaci del regime sfoggiano frustini da cavallerizzo e ovunque si trovano foto di un signore non molto alto, senza capelli e con una mascella volitiva che campeggia ritratto nelle pose più auliche. Vi viene da ridere? Ebbene da ridere non c'è molto. O meglio non c'era. Perché è l'Italia del 1928 guidata da Benito Mussolini quella che Joseph Roth descrive nei suoi quattro reportage per il quotidiano tedesco Frankfurter Zeitung. (La quarta Italia. Castelvecchi. pp. 56. euro 8).

Se c'è una cosa che caratterizza le dittature è la mancanza assoluta di senso del ridicolo. Tanto a che, a volte, anche i regimi peggiori, assumo tratti così umoristici da far sottovalutare la loro mostruosità. È l'autunno del 1928, quando Joseph Roth è in Italia. Deve raccontare l'Italia fascista. Missione non facilissima per uno straniero non interessato alle vestigia del passato ma al presente.

È il tempo in cui Mussolini ha ormai consolidato il regime, modificando la legge elettorale e introducendo il plebiscito. Roth arriva in Italia e si accorge fin da subito dove è capitato. Gli basta scendere dal treno per capire che l'Italia fascista va bene «per sposini in viaggio di nozze ma non per giornalisti » e vedersi davanti «il primo fascista in camicia nera e improbabili calzoni che ricordavano ali di farfalla». E, al fianco, «una pistoletta». E che dire delle spie che sembrano provare «un piacere ingenuo per la loro vistosità»? Mica come in Russia dove «sapevano da tempo, ancor prima che io li notassi, chi ero e cosa volevo».

I quattro reportage oscillano tra ironia e inquietudine. La penna di Roth punta il dito contro il culto della personalità del duce, la delazione onnipresente («quell'uomo mi può denunciare... ». «Perché?». «Si può forse sapere?»), l'asservimento della stampa («un'eco» del regime). Un Paese controllato dagli occhi indagatori dei portinai e dei portieri d'albergo. Questa era l'Italia del 1928. Dove la cosa più seria era l'olio di ricino.

Matteo Tonelli
Il Venerdì di Repubblica


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