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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Nathan Englander, Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank 17/09/2012

Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank   Nathan Englander
Traduzione di Silvia Pareschi
Einaudi                                                                                   Euro 19


Due amiche, ragazze ebree newyorchesi educate nella tradizione ancestrale, hanno poi avuto evoluzioni diversissime. Oggi una vive in Florida con un marito intellettuale, libero pensatore come lei, e un figlio sedicenne alto un metro e ottantatré e molto sportivo. L’altra invece è diventata ultraosservante, è emigrata in Israele, e ha dato dieci figlie femmine al consorte, un fondamentalista con tanto di palandrana nera, riccioli laterali e barba fino alla vita. Riunite da Facebook, le due si confrontano coi rispettivi coniugi nella casa americana della coppia rimasta in patria, e dopo un po’ di disagio iniziale, soprattutto tra gli uomini, ciascuno dei quali annusa l’altro come un animale strano e inquietante, si sciolgono, complici l’alcol e l’erba trovata nel cassetto del figlio momentaneamente assente: stimolanti che lì per lì i rigidi principi dell’ospite non trovano argomenti per rifiutare. Così i quattro si lasciano andare e parlano liberamente di tutto, mettendo in discussione, anche scherzosamente, i rispettivi stili di vita, e finendo inevitabilmente a meditare sulla tragedia del loro popolo. In un gioco assurdo e pericoloso, arrivano addirittura a domandarsi, qualora si scatenasse una seconda Scioà, quale dei loro vicini sarebbe disposto a nasconderli, così come fu nascosta la famiglia di Otto Frank.
In questo racconto, che è un capolavoro, spiccano tutte le virtù che hanno reso celebre l’ancora assai giovane autore, ossia l’autorevolezza della scrittura, sempre controllata sotto un’apparente giocosità, la vivacità nella rapida descrizione dei personaggi, e l’umorismo con cui si affrontano i temi più scabrosi senza evitare la tragedia di fondo. Sono virtù che contrassegnano molti tra i grandi scrittori di matrice ebraica del secolo scorso, nomi che non c’è bisogno di ripetere qui.
Gli altri sette pezzi che compongono la raccolta, riunita sotto il titolo del primo, birichino nell’allusione contemporanea a due miti come Raymond Carver e la martire ebrea, offrono tutti motivi di interesse, ma non raggiungono lo stesso livello, forse perché in nessuno si ottiene lo stesso impagabile amalgama di ironia e drammaticità. Benché mai banale, quando prevale il comico, o il suo opposto, Englander è più prevedibile.
Tra i racconti comici spicca un incubo alla Woody Allen, con un ligio uomo di affari che si infila in un peepshow sulla 42ª strada - metti un dollaro e puoi sbirciare donnine spogliate da una finestrella -, ma poi si sente talmente colpevole da vedere rabbini nudi al posto delle tentatrici. In un altro, dei ragazzini ebrei perseguitati da un bullo antisemita tentano goffamente di organizzarsi per rendergli la pariglia. Nel meno riuscito, uno scrittore non più in auge percorre stancamente la trafila delle letture in varie librerie in più Stati seguito da un unico implacabile ascoltatore, sempre lo stesso. Più memorabili, tutto sommato, quelli francamente drammatici, come «Le colline sorelle», saga della colonizzazione con un terribile risvolto di dogmatismo talmudico, e quello conclusivo, con la non meno terribile rievocazione del passato del responsabile di un gesto di altrimenti inspiegabile crudeltà.

Masolino  D’Amico
Tuttolibri – La Stampa


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