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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Haim Baharier, Qabbalessico 21/05/2012

Qabbalessico                    Haim Baharier
Giuntina                               Euro 8,5

La parola Sephiroth, che nella Qabbalà identifica le dieci qualità di Dio, contiene la radice "sfr" che nella lingua ebraica si ritrova in due verbi dal significato diverso e, se si vuole, antitetico, come contare e narrare. «In questa etimologia c'è l'essenza della Qabbalà e l'importanza sia di discernere le cose attorno a noi sia di trovare la vicinanza tra gli opposti», spiega a Sole24Ore.com Haim Baharier, studioso di ermeneutica biblica e di pensiero ebraico, nonché conferenziere e consulente di grandi gruppi industriali, che da poco ha dato alle stampe "Qabbalessico", edito da Giuntina.

Il libro, il quarto di Baharier, in sole 75 pagine raccoglie una serie di riflessioni che a partire da alcune parole chiave si avvicinano al tema della trascendenza, filtrandola alla luce degli insegnamenti della Qabbalà e della vita di ogni giorno. "La trascendenza sta nel piccolo, in ciò che sembra insignificante". Nel capitolo "A come... alcol" si dice che, secondo i maestri chassidici, mangiando e bevendo in eccesso si ha la certezza di essere nei disegni del Dio periferico o del Dio della distanza.

"La distanza è un modo di conoscere, pudico, ma assai prezioso. La presenza di Dio si avverte con forza proprio a partire dalla sua assenza". Il medesimo concetto si trova nel capitolo "A come... allungatoia", in cui si ricorda che gli ebrei in cammino dall'Egitto verso la terra di Canaan impiegano quarant'anni per attraversare un deserto che le carovane del tempo percorrevano soltanto in due settimane. "Quarant'anni di erranza nel deserto, di scazzottate con l'insignificante, sono un'allungatoia appropriata per recuperare il rapporto autentico con il trascendente: Dio ritorna periferico, clamorosamente assente", precisa Baharier in "Qabbalessico".

L'esperienza delle cose, dunque, è la lezione, l'insegnamento da fare proprio. Senza contare sui miracoli, sulle soluzioni calate dall'alto. Nel capitolo "M come... miracolo" si evidenzia come in ebraico la parola miracolo, nes, abbia un radice comune alla parola nissaion, che invece vuol dire prova. Del resto, proprio nei momenti più difficili, nelle prove della vita vengono alla luce le nostre risorse segrete. Forse il miracolo sta qui. "La Qabbalà è tutto meno che un farmaco miracoloso o una tecnica di seduzione. Al contrario, ha a che fare con la responsabilità e con la fedeltà della trasmissione", conclude Baharier.


Luca Vaglio
Il Sole 24 Ore


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