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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Elisabette Gille, Mirador. Irène Némirovsky, mia madre 12/04/2012

Mirador. Irène Némirovsky, mia madre.       Elisabette Gille
Traduzione di Maurizio Ferrara e Gennaro Lauro
Fazi                                                                          Euro 18

Mirador è un libro di memorie immaginate che nasce da altri libri e, come scrive l’autrice nei ringraziamenti, anzitutto da quelli della madre Irène Némirovsky, la grande scrittrice ebrea scomparsa ad Auschwitz nel 1942.
Elisabette Gille ha cinque anni quando la madre viene arrestata e insieme alla sorella maggiore Denise riesce a sfuggire alla deportazione perché un ufficiale tedesco osservando la fotografia della figlia, assai simile alla bionda Denise, concede alle bambine qualche ora per fuggire. Con l’aiuto della governante le due sorelle vivono per tre anni come fuggiasche, trascinandosi appresso la pesante valigia di cuoio nero che il padre Michel Epstein, ucciso nel campo di sterminio di Auschwitz, affida loro e che custodisce il prezioso manoscritto Suite francese al quale Irène lavorava da tempo all’epoca del suo arresto.
Al termine della guerra Denise e Elisabeth attendono invano il ritorno dei genitori e ogni giorno alla Gare de l’Est osservano il terribile spettacolo dei pochi sopravissuti che ormai pelle e ossa fanno ritorno in patria. Sia la differenza d’età sia la volontà della piccola Babet, sopranome col quale si rivolgeva a lei mamma Irène, di dimenticare il passato allontanano anche geograficamente le due sorelle.
Elisabeth dedica la propria vita alla letteratura, diventa traduttrice, direttrice editoriale scoprendo nuovi autori ed infine scrittrice lei stessa.
Per molti anni Gille rimuove il passato e il trauma della separazione dai genitori: quello è il prezzo per conservare il suo equilibrio interiore.
Mirador nasce nel 1992 e per trovare la forza di scriverlo l’autrice attende di arrivare ad un’età in cui avrebbe potuto essere la madre di Irène che “ha trentanove anni per l’eternità”. Elisabeth ha più di cinquant’anni quando si cimenta con la madre e l’occasione le viene offerta dalla notizia che una casa editrice intende pubblicare una biografia della Némirovsky. La decisione di scriverlo lei quel libro, è immediata.
Un passo molto importante che la riavvicina anche alla sorella Denise della quale ha bisogno per ritrovare quei ricordi, quegli attimi di felice vita familiare che la mente e il cuore avevano rimosso.
Elisabeth Gille si immerge nelle opere della madre fino ad interiorizzare i moti più segreti dell’anima e ad esprimere con pienezza quella vita intellettuale e affettiva che aveva condiviso per così breve tempo.
Questa biografia immaginata pubblicata nel 1992 e acclamata dalla critica come un’opera importante ed originale, è divisa in due parti: nella prima Irène è in Russia, dove trascorre l’infanzia a Kiev (città mirabilmente ricostruita da Gille grazie ad una biografia di Bulgakov e alle memorie di Konstantin Paustovskij), tra l’affetto del padre, l’amore della dolce Mademoiselle Rose e l’indifferenza che sfiora la crudeltà della madre, donna capricciosa e fatua.
I primi pogrom e i fermenti rivoluzionari portano la famiglia a trasferirsi prima a San Pietroburgo dove il padre ha avviato attività assai lucrose, poi a Mosca e infine in Finlandia. Insieme alla madre Irène vive per alcuni mesi in un gelido albergo, “…un lungo edifico di tronchi che odoravano di resina, aveva un solo piano e corridoi bui” ed è in questo luogo sotto lo sguardo geloso della madre che la giovane Irène diventa adulta scoprendo l’amore e facendo i primi passi, quasi di nascosto, nel mondo della scrittura (“….mi sforzavo di scrivere ogni giorno due o tre pagine che riguardavano gli ospiti dell’albergo, i loro atteggiamenti e le loro manie, il loro modo di vestirsi o parlare, insomma vita, morte e miracoli”).
Dopo tre mesi trascorsi a Stoccolma durante i quali i genitori sono ben integrati nella piccola cerchia di emigrati russi, è la Francia la loro destinazione definitiva. Al termine di un viaggio burrascoso sono accolti nel loro paese d’adozione da un’allegra banda musicale che stempera un po’ i disagi del viaggio e la malinconia di Irène.
L’arrivo in Francia comporta per la giovane donna un progressivo distacco dalle origini russe e in parte dall’ebraismo facendo di quella patria ritrovata un ideale perfetto di tolleranza e uguaglianza.
Dopo il lungo esilio e le tante peripezie Irène Némirovsky sente di aver trovato un rifugio sicuro e protetto che la spinge addirittura a rifiutare la proposta del padre, affascinato dall’America, di trasferirsi laggiù. (“….So di aver fatto la scelta giusta non ascoltandolo: la scelta della sicurezza, della pace, della moderazione. Qui non rischiamo più nulla, né noi né mia figlia”).
Una scelta che nessuna delle due figlie le perdonerà per molto tempo.
Struggente è la seconda parte delle memorie che si immaginano scritte alla vigilia della deportazione. E’ a Issy-l’Evêque, un villaggio della Saône et Loire, che Irène si rifugia insieme al marito e alle figlie; attraverso le parole di Elisabeth ripercorriamo i momenti di scoramento, il timore per il futuro incerto, le preoccupazioni per le crescenti privazioni in una vita quotidiana nella quale si palesa sempre più il dramma finale. Irène ha parole dure per gli intellettuali francesi che prima l’hanno osannata e ora le volgono le spalle mentre rivolge un pensiero affettuoso all’editore Albin Michel che le resta a fianco proteggendola fino alla fine. Queste memorie immaginate terminano con  i ricordi di un felice viaggio in Crimea in compagnia del padre proprio sulla spiaggia dove Anton Cechov (“il malato dalla barba bianca”) aveva chiesto all’amica attrice Vera Komissarzevskaja di recitargli l’ultimo monologo di Nina nel Gabbiano.
Quello che è accaduto dopo l’arresto, la deportazione e la morte nel campo di sterminio non potranno mai essere raccontati ma ora Elisabeth Gille può congedarsi dalla madre pacificata, con la consapevolezza di aver fatto rivivere il suo ricordo e aver donato a noi lettori un libro prezioso.
“….un  testo che chiude i conti con il destino di Irène Némirovsky, ritornata alla luce della giusta gloria grazie all’infaticabile pervicacia di due figlie che non si sono date per vinte, perché a una morte ingiusta, all’oblio immeritato l’uomo di ribella senza sosta, perché come aveva scritto la loro madre, al fallimento, l’istinto umano oppone invincibili barriere di speranza”.

Giorgia Greco


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