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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Marek Halter, Il cabalista di Praga 26/03/2012

Il cabalista di Praga                                          Marek Halter
Traduzione di Federica Romanò
Newton Compton                                                 Euro 9,90

«Un omaggio alla cultura yiddish». Marek Halter presenta così la sua ultima fatica letteraria, Il cabalista di Praga (Newton Compton, traduzione di Federica Romanò, pagg. 314, euro 9,90), un romanzo storico in cui, alternando realtà e leggenda, ricostruisce la vicenda di Judah Loew, il Gran Rabbino di Praga che tutti chiamavano il MaHaRaL. Fu lui che all'alba del XVII secolo, grazie al sapere della cabala, creò il Golem, il gigante di argilla destinato a difendere gli ebrei del ghetto dai loro persecutori. Per raccontare questo «prodigio dei prodigi», lo scrittore francese d'origine polacca affida la narrazione a David Gans, uno degli allievi del MaHaRaL, il quale, oltre a frequentare i grandi uomini di scienza del suo tempo, salva dalla violenza antisemita la nipote del Gran Rabbino, Eva, che poi avrà un ruolo importante nella nascita del Golem. «La storia m'interessa nella misura in cui rimanda alle preoccupazioni del presente», spiega Halter, accogliendoci nella sua casa nel vecchio quartiere ebraico di Parigi. «Nel corso del XVI secolo l'Europa fu il teatro di una trasformazione radicale della visione del mondo. Colombo e gli altri esploratori avevano cambiato i confini del pianeta. Contemporaneamente, grazie alla rivoluzione copernicana e alle scoperte degli astronomi, l'uomo e la terra non erano più al centro dell'universo. Tutto ciò produsse molte inquietudini e molti interrogativi. Anche noi oggi viviamo in un'epoca in cui le visioni del mondo che hanno dominato il passato non riescono più a rispondere ai problemi del presente. Anche noi attraversiamo una fase d'incertezza, ci poniamo domande a cui non sappiamo dare risposta.»

La cabala offre un percorso verso queste risposte?
«La cabala cerca nelle parole e nel linguaggio, legge tra le linee e tra le lettere. È un arduo percorso di conoscenza legato a una ricerca interiore e a una ricerca mistica. La cabala propone una chiave per interpretare e comprendere il reale. Non è un caso che all'epoca tutti gli uomini di scienza e perfino Papa Clemente VII la studiassero con impegno. Lo Zohar - il testo fondatore della cabala - è il primo libro che parla di "un mondo pieno di mondi", mostrando che dietro al mondo reale si nascondono altre realtà».

Forse è per questo che la cabala continua ad affascinare molte persone anche al di fuori della cultura ebraica...
«In un'epoca di crisi e confusione, in cui mancano i mezzi per comprendere il reale e dare una risposta alle nostre inquietudini, si cerca spesso nell'irrazionale. Da qui la moda dell'esoterismo e delle predizioni, che da un certo punto di vista spiega anche il successo della cabala, alla quale ci si può avvicinare anche se non si è ebrei. La cabala rimanda a un sapere nascosto che bisogna saper conquistare».

Ma non c'è il rischio che oggi la cabala subisca le conseguenze di una certa banalizzazione un po' new age?
Evidentemente quando Madonna o altre star del cinema dicono di studiare la cabala, sembra soprattutto il risultato di una moda un po' superficiale. È però un segno dello spirito dei tempi, dell'incertezza dominante. Trent'anni fa le star di Hollywood s'impegnavano per le grandi cause, gli artisti si battevano contro la guerra in Vietnam. Oggi all'impegno preferiscono la ricerca interiore della cabala, che poi può anche funzionare come elemento d'identità. L'individuo non può vivere senza speranza, ha bisogno di credere in un mondo migliore. Esistono tanti modi di esprimere tale bisogno, la cabala è uno di questi».

Nel romanzo si dice che i non ebrei nella cabala cercano spesso il potere...
«La cabala ci offre una possibile lettura del reale. È uno strumento di conoscenza. I gentili invece vi hanno spesso cercato la formula per potere dominare la realtà. Il caso più estremo è quello di Hitler, che era rimasto molto impressionato dalla lettura del Golem di Gustav Meyrink. Quando le sue truppe entrarono a Praga, egli andò subito a vedere la statua del MaHaRaL e più tardi creò una cellula incaricata d'impossessarsi dei segreti della cabala per creare un nuovo Golem da lanciare nella guerra.»

Cosa rappresenta la leggenda del Golem?
«Ogni leggenda corrisponde a un'epoca e a un sogno precisi. Nel ghetto di Praga gli ebrei disperati sognavano qualcosa che potesse proteggerli dall'odio e dalla violenza. Nacque così il mito del Golem. E se tale leggenda che esprime un desiderio collettivo è sopravvissuta nei secoli, significa che si è continuato ad avere il bisogno di credere in essa. Con il Golem, l'uomo fabbrica per la prima volta un artefatto dai riflessi umani. È il sogno di una creatura artificiale al servizio dell'uomo. È il primo dei robot».

In realtà è un superuomo. Possiamo considerarlo il sogno umano dell'onnipotenza?
«Dipende da come lo si guarda. Per Hitler e i nazisti fu probabilmente così. Ma non va dimenticato che alla fine il Golem sfugge al controllo degli uomini, tanto che il MaHaRaL decide di distruggerlo per evitare derive pericolose. È un gesto che dovrebbe servirci di lezione tutte le volte che la scienza produce qualcosa che rischia di sfuggirci di mano. L'uomo può creare ma deve saper distruggere. Non dobbiamo aver paura d'interrompere un processo di creazione, se questo rischia di produrre risultati aberranti. Dobbiamo essere capaci di inoltrarci in territori sconosciuti, perché solo così si crea e si scopre, ma al contempo dobbiamo essere sempre pronti a fermarci. Occorre rimanere padroni delle nostre ricerche, esattamente come il romanziere nei confronti della pagina che sta scrivendo. E nel mondo yiddish la cultura ha sempre l'ultima parola. Non a caso il MaHaRaL distrugge il Golem. È il potere del Verbo che crea il Golem, ed il potere del Verbo che lo annienta.»


Fabio Gambero
La Repubblica


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