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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Ron Leshem, Underground bazar 19/03/2012

Underground bazar                           Ron Leshem
Cargo                                                     Euro 20

Ha del coraggio l´israeliano Ron Leshem. A 35 anni, dopo aver raccontato – lui, che non ha mai combattuto – la vita, la morte, l´orgoglio, la paura, l´amicizia, lo slang di un´unità scelta di militari in Libano (con l´ottimo Tredici soldati, un best seller che è diventato il film Beaufort Orso d´Argento al Festival di Berlino 2007), ha appena concluso un´altra missione impossibile: si è messo nella pelle del nemico per eccellenza, un iraniano, e ha ambientato un intero romanzo a Teheran, città dove non potrebbe mai nemmeno entrare: una sfida intitolata Underground Bazar (Cargo, trad. Cinzia Bigliosi, pagg. 406, euro 20, da oggi in libreria) che mette in scena il paese totalitario e una tragica storia d´amore tra il personaggio narrante, Kami, giovane provinciale idealista e libertario, e Niloufar, una ragazza ribelle, una bellissima pilota di macchine da corsa.
L´audacia di Leshem non finisce qui. Perché il libro è stato scritto grazie a Facebook, sentite come. “A volte, a notte fonda, quando cerco di scrivere e non mi riesce, chiedo sul web l´amicizia a qualcuno che non ha nessuna ragione di essermi amico” spiega Leshem. “Quando mi rivolgo ai palestinesi, la metà di loro la rifiuta; e il 100% degli egiziani dice di no; ma una notte ho fatto un esperimento e ho spedito un centinaio di domande a dei ragazzi iraniani (per vedere quanto e se mi detestavano davvero… controllare tutto il tempo se la gente ti odi è una caratteristica israeliana)“, racconta. Bene, la mattina seguente tutti quei cittadini della repubblica islamica avevano accettato e gli avevano spedito messaggi, storie, domande, clip. Un mese dopo era ancora lì a chattare soprattutto con tre studenti e una ragazza, una pilota di Teheran, “Ero scioccato dei pregiudizi sbagliati che avevamo gli uni sugli altri, ero affascinato dalla vita underground che mi raccontavano. Dopo due anni di mail su falsi indirizzi web – il mio era in Arabia Saudita – , non ne potevamo più, volevamo vederci in carne e ossa: pericolosamente ci siamo incontrati per una settimana in una città europea“. E´ nato il romanzo: “Di fatto l´ho scritto con due di loro. E che non ci fosse permesso essere amici, rendeva la cosa ancora più appassionata e romantica. Non sapevo abbastanza bene il da farsi, comunicavamo in inglese. Mi hanno dato moltissime idee, descrizioni di momenti che avrebbero voluto veder scritti, pareri su come svolgere il plot. Hanno scelto loro i nomi dei protagonisti. Erano orgogliosi che qualcuno ascoltasse le loro storie, che altri ancora le avrebbero lette. Ogni tanto gli sottoponevo per mail dei paragrafi del libro. Firmare insieme? Non sarebbe stato possibile. Hanno molta paura. Una volta però, durante le rivolte dell´Onda Verde, uno di loro mi ha mandato un articolo chiedendomi di farlo pubblicare da qualche parte. E´ uscito sull´Ha´aretz. Sotto falso nome naturalmente“.
Per scrivere, Ron si è chiuso nel suo studio, l´ha tappezzato di fotografie e mappe di Teheran, ha studiato a lungo, parlato con chiunque fosse stato in Iran di recente, e poi ha deciso dove avrebbe vissuto, che strada avrebbe fatto per l´università, che piatti avrebbe mangiato, che odori avrebbe sentito, che facce avrebbe visto (ne parlerà alle 15 di domenica prossima a “Libri come”, Parco della Musica, Roma).
La storia è quella del giovane Khami che va a Teheran a studiare. E´ ospite della zia, un´ex vedette del cinema ai tempi dello Scià caduta in disgrazia: ora vive in un mondo chiuso, aperto solo a due vicini di casa, un giovane gay e una anziana signora disgustata dal regime. Tutto cambia con l´arrivo del nipote e soprattutto del computer che porta con sé, perché Internet svela a tutti un universo di contatti e divertimenti che in Iran diventano subito trasgressioni. Di trasgressioni è ricca anche la vita di Niloufar, la pilota amante di Khami che lo coinvolge in un vorticoso giro di feste, alcol e droghe, musiche, e anche di libri proibiti smerciati da una rete di oppositori ad Ahmadinejad. Le cose non vanno a finire bene, ma più andiamo avanti più ci chiediamo quale sia il filo rosso che unisce il primo romanzo sulla guerra a questo libro “iraniano”. “Glielo spiego“, risponde,“Ogni israeliano a 21 anni, dopo il militare, parte per un viaggio di un anno (se gli piacciono più le droghe in India, se è viziato in Australia, ma la maggior parte va in Sud America). Io ero troppo attaccato a mia madre, troppo ansioso di iniziare una carriera e non andai. Ma a 30 anni capii che mi ero perso un´avventura fantastica. Volevo essere uno di quelli che aveva corso nudo in un campo di coca in Bolivia, fatto sex&drugs tutto il giorno. Partii per la Bolivia, ma lì mi ritrovai solo a lamentarmi dei mosquito e dello sporco. Così mi rifugiai a Roma, in un hotel con l´aria condizionata e mi misi a scrivere di me che correvo in un campo di coca in Bolivia,e facevo sesso e prendevo droghe a più non posso. Se lei mi mettesse davanti a una macchina della verità, passerei l´esame quando racconto della Bolivia, di Teheran e della mia guerra in Libano. Insomma, è la passione di capire cose che non conosco che mi fa scrivere, come un attore che un giorno è un re, e il giorno dopo un uomo da marciapiede. Scrivo invece di vivere, e preferisco esperienze che non posso fare veramente“.
Ad attrarlo verso l´Iran è stata però non solo l´impossibilità, ma anche l´affinità con questi nuovi amici; sì, si somigliavano, gli altri però vivevano in un paese che lapida le adultere e impicca i gay: eppure ci si erano abituati. Ron ha avuto paura di potersi assuefare a tutto, e anche se in Israele non c´è infrazione religiosa che venga punita, ha pensato ai “suoi” oscurantisti: “Nelle vesti di Khami volevo capire cosa fa arrendere un 18enne a uno stato fondamentalista, sapere se avrei combattuto per la mia libertà”. Il romanzo di Leshem non è ottimista. Come in realtà non sono ottimisti tutti gli scrittori israeliani della generazione che ha visto il fallimento del processo di pace. “I giovani sia in Iran che in Israele hanno perso la speranza di cambiare. Qui le proteste sociali di quest´estate non hanno nascosto il fatto che i ragazzi sono più conservatori dei loro padri, più apatici, affondano nell´individualismo. In Iran i miei amici non credono di poter spezzare la loro crudele realtà e si rifugiano nell´underground. Così come a Tel Aviv passiamo le notti nei bar, senza pensare ai missili da Gaza che cadono a 20 minuti da noi, alla gente che vive nei rifugi“.

Susanna Nirenstein
La Repubblica


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