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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Joseph Roth, Il busto dell'imperatore 15/08/2011

Il busto dell’imperatore           Joseph Roth
Traduzione di Vittoria Schweizer
Passigli                                        Euro 14,50


E' da celebrare come un piccolo (per dimensioni) capolavoro Il busto dell´imperatore, un racconto lungo del 1934, pubblicato da Roth originariamente in Francia, prima in traduzione francese, poi sul Pariser Dagblatt, nel periodo in cui, esule – era uscito dalla Germania il 30 gennaio 1933, il giorno in cui Hitler divenne cancelliere del Reich – viveva tra mille difficoltà a Parigi, dove morì ("scrittore austriaco, morto in esilio", recita la lapide sulla sua tomba) il 27 maggio del 1939.
Il busto dell´imperatore (pubblicato ora da Passigli, nella traduzione di Vittoria Schweizer assieme a Il Leviatano e L´allievo modello sotto il titolo Il busto dell´imperatore e altri racconti) è un tuffo nella nostalgia del passato asburgico, una elegia al mondo dell´Impero Austriaco – amato, detestato, combattuto, rimpianto –, un canto al mondo di ieri, al suo complesso sistema di popoli e di razze, paradossalmente unito nonostante tutte le divisioni e le tensioni, protettivo, tranquillo.
O almeno così ricorda il "suo" Impero asburgico il Conte Franz Xaver Morstin – che, a illustrare il melting pot di quel mondo lontano, è un conte, discendente di una famiglia proveniente dall´Italia e giunta in Polonia, nella Galizia di Roth, nel sedicesimo secolo. Piace, al conte, questo mondo ordinato e regolare dove su ogni edificio pubblico scintilla l´aquila asburgica, i finanzieri indossano le stesse uniformi, i soldati le stesse divise, alle nove di sera viene suonata per tutti la stessa ritirata, l´imperatore parla ai suoi popoli, diversi e uguali. E Morstin, nella sua razionale generosità, piace ai suoi "sudditi", per i quali si dà da fare, che protegge ed aiuta. In un piccolo mondo antico che non conosce e non si scontra con il problema della nazionalità, perché l´Impero è «una grande casa con molte porte e molte stanze per ogni sorta di essere umano».
Ma le cose cambiano, per il mondo e per il Conte Morstin. "Dall´umanità alla bestialità attraverso la nazionalità", ha scritto Grillparzer, citato da Roth. Persino nei territori di Morstin sembra esserci una maggiore attenzione al pericoloso tema delle nazionalità. E che dire del "suffragio universale segreto e diretto"?
Per celebrare la grazia del passato il conte Morstin fa realizzare un busto dell´Imperatore. Va in guerra (sì, è scoppiata la cosiddetta Grande Guerra). Torna e trova un mondo diverso. Lopatyny, il suo villaggio, che adesso sta in Polonia, è ancora la patria di lui, conte austriaco? Viaggia e trova un mondo volgare che si fa beffe persino delle corone reali. Torna, e, come se non fosse passata una guerra omicida e cambiato il mondo, piazza il busto dell´Imperatore davanti a casa, indossa la sua uniforme asburgica, nega la Storia. Finché non viene richiamato all´ordine dai nuovi poteri. Seppellirà solennemente il suo Imperatore, mentre lui sparisce in Riviera. La grande casa di cui parlava " è stata suddivisa, frantumata, distrutta". La sua tomba sarà accanto al busto dell´Imperatore.
Anche Nissen Piczenik, ebreo dai capelli rossi, il protagonista de Il leviatano (che nella sua interezza fu pubblicato postumo nel 1940), ama lo status quo. Nel suo caso il suo status di grande, onesto, esperto mercante di coralli, di cui ama la bellezza, di cui declina con passione le sfumature di cento colori, di cui immagina la vita nelle acque del mare che lui non ha mai conosciuto e su cui si fa leggere (è analfabeta) tutto quello che riportano i giornali. Si concede finalmente una fuga verso Odessa con un amico marinaio per vederlo, questo mare che non sa immaginare. E ne resta sedotto. Poi, un giorno, nella città accanto arriva un mercante di coralli a prezzo stracciato. Poco importa che, si scopre, siano falsi, di celluloide. Non solo il mercato è rovinato e l´etica professionale distrutta, ma il diavolo del cambiamento fa capolino a tentare anche l´onesto Nissen. Fino a una imprevedibile, tragica conclusione.
Non meno bello è il terzo racconto della raccolta, L´allievo modello (che è del 1916, dunque prima della dissoluzione di quell´Impero che Roth ci racconta con nostalgia), uno studio dell´ipocrisia e dell´opportunismo che sembra anticipare la sartriana Infanzia di un capo. Perché dopo l´aristocratica pazzia del conte Morstin, dopo l´onestà perduta del popolano Nissen, è qui di scena la piccola borghesia determinata a conquistare il mondo, ad ogni prezzo, giocando sui sentimenti, calpestando le persone. Come fa Anton Wanzl, il figlio del portalettere, in una continua ascesa che lascia disastri sul suo percorso. È l´atto di accusa di Roth nei confronti di una nuova classe senza classe e senza scrupoli. Che riesce tuttavia a farsi seppellire, alla fine, sotto una lapide che parla di fedeltà e di onestà, virtù mai vissute e perdute per sempre.

Irene Bignardi
R2 Cult – La Repubblica


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