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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Irit Amiel, Fratture 11/04/2011

Fratture                                          Irit Amiel
Traduzione di Maizena Borejczuk
Keller editore                                 Euro 13,50

La Shoah non riguarda soltanto il popolo ebraico ma l’intera umanità.
Quella pagina della Storia che ha segnato uno spartiacque nella vita di milioni di ebrei rimane come un peso incancellabile nell’animo di tutti noi e dopo sessant’anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale il suo ricordo vive nelle testimonianze che i sopravvissuti hanno impresso in pagine di drammatico realismo e profondo dolore.
Alla cultura spetta il compito imprescindibile di diffonderne i contenuti per far pervenire alle nuove generazioni, attraverso gli strumenti del sapere, un messaggio di pace e tolleranza affinché un tale orrore non abbia più a ripetersi.
Il libro “Fratture” della poetessa e scrittrice israeliana Irit Amiel che meritoriamente l’editore Keller porta in Italia si pone come punto di riferimento per ripercorrere la Storia offrendo a tutte le voci soffocate nei lager, ma anche a quelle che pur sopravvissute hanno scelto il silenzio sulle tragiche esperienze passate, il diritto e la dignità della Memoria.
Nata da una famiglia ebrea in Polonia nel 1931, l’autrice trascorre i primi anni della Seconda Guerra mondiale nel ghetto di Cestocova e riesce a sfuggire ai nazisti procurandosi falsi documenti ariani, mentre la sua famiglia viene sterminata a Treblinka. E’ solo nel 1947 però che Irit Amiel raggiunge Erez Israel dopo essere transitata per l’Italia, la Germania e Cipro.
Nella terra dei suoi avi, dove tuttora vive, la poetessa israeliana come altri superstiti ha lanciato una grande rivincita al progetto criminale di Hitler: è diventata madre e poi nonna di ben sei nipoti, continuando a lavorare nel campo della letteratura.
E’ con gli occhi della testimone, lambita ma non divorata dal fuoco della Shoah, che Irit Amiel ripercorre nei 23 brevi racconti che compongono “Fratture” le vicende di coloro che scampati al genocidio sono condannati a vivere dopo la catastrofe con un bagaglio immenso di ricordi, incubi e rimpianti ma anche desideri e speranze.
Sono bambini scampati per un soffio alla deportazione come la piccola Celinka che dopo aver vagato raminga fra case di estranei e casupole di campagna trova un essere umano, l’ex domestica dei loro vicini, la buona Andzia che la nasconde; sono sopravvissuti ai campi di sterminio come Daniel diventato milionario che giunto al capolinea con la vita decide di tornare nel suo paese natale vicino a Varsavia per rivedere prima di morire i luoghi della sua infanzia, “la stretta viuzza e la casetta dove era vissuto con la nonna” e “la stanzetta che odorava di colla e polvere…dove su uno sgabello basso e con la bocca piena di corti chiodi di legno, era solito sedere suo padre calzolaio”: si tratta di ricordi così dolorosi che all’improvviso qualcosa frana nella sua mente; sono donne forti e coraggiose come Salcia vissuta nella prima metà dell’Ottocento che dedica la propria vita ai figli, ai nipoti avviandoli al lavoro e all’Università, senza sapere che i suoi sacrifici e i suoi piani a distanza di quattro generazioni sarebbero finiti “nel gas e tra le fiamme…”.
Nei frammenti che compongono questo prezioso libro accanto alle fredde campagne polacche, al rumore sinistro dei passi delle pattuglie tedesche che echeggiano nella notte, si assaporano le dolci brezze mediterranee, il caldo sole estivo e il paesaggio rigoglioso di Israele dove “nei giardini fiorivano i ciclamini e le colorate viole del pensiero. Persino gli alberi di agrumi …esplosero in una fioritura candida e aromatica”.
Il racconto autobiografico di Fania, la ragazzina “profondamente infatuata dell’ideologia socialista del kibbutz” che giunge da Cestocova nella Terra promessa dopo aver perso i genitori a Treblinka si mescola con la storia d’amore fra Tikvà e Salìm, una giovane ebrea ed un arabo cardiologo all’ospedale di Herzlya.
Metafora della difficile convivenza fra arabi ed ebrei il loro amore è destinato a soccombere dinanzi all’intolleranza della gente e alle violenze che seguiranno lo scoppio della seconda Intifada.
In un perfetto intreccio fra passato e presente con uno stile narrativo intenso e un ritmo incalzante, l’autrice ci restituisce un mosaico di volti, di esperienze umane, di incontri dove i ricordi degli “scottati” si intrecciano ai conflitti che lacerano la società israeliana, in un paese quotidianamente impegnato in una guerra per la sopravvivenza e nel quale troppo spesso i genitori seppelliscono i propri figli.
Il libro di Irit Amiel è la dimostrazione inequivocabile che c’è ancora molto da scrivere sulla Shoah, “perché ogni singola frase di questa raccolta è una prova palese che quella voragine è senza fondo”.
Se il valore di questo piccolo gioiello letterario risiede anche nell’ essere “parola”, “voce”, “incarnazione” per coloro che non hanno potuto raccontare, né lasciare un ricordo di sè alle persone amate, diventa imprescindibile il nostro compito: Zakhor. Al Tichkah. Ricorda. Non dimenticare mai.

Giorgia Greco


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