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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Sami Michael Una tromba nello Uadi 16/05/2006

Milano, lunedì 15 maggio

E’ uno degli scrittori più importanti nella letteratura israeliana, ha ricevuto premi prestigiosi in Israele e, in Italia, è stato insignito del premio per la “Promozione della pace in Medio Oriente”. Sami Michael è a Milano, ospite della Libreria Claudiana, per presentare il suo primo libro tradotto in Italia da Shulim Vogelman e pubblicato dalla Casa Editrice Giuntina, “Una tromba nello Uadi”. Un romanzo scritto più di vent’anni fa e ambientato a Haifa la città dove lo scrittore vive tuttora. Scritto in prima persona da una donna, questo libro è costellato da personaggi indimenticabili: Huda, la voce narrante, il nonno egiziano Elias, la sorella Mary, bella e trasgressiva che nasconde un drammatico segreto, Jamilla una vecchia vicina curiosa, Alex un giovane ebreo giunto in Israele dalla Russia che si innamorerà di Huda. La difficile convivenza fra arabi ed ebrei è lo sfondo di questo stupendo romanzo che è prima di tutto un inno alla pace, un richiamo alla convivenza, oltre che un racconto appassionante e drammatico. Partendo proprio dalla protagonista del libro, Huda, un’araba cristiana israeliana è evidente la presenza in Sami Michael di una identità molto complessa: cosa significa per lui essere ebreo, proveniente da un paese arabo, con una cultura araba, impegnato nella sinistra e nella difesa delle minoranze arabe? “ A dire il vero sono il risultato di diverse identità: la prima è quella di essere un ebreo arabo. Sono nato 80 anni fa a Bagdad la mia lingua madre è l’arabo e la mia prima cultura è araba. Sono stato un attivista nel gruppo clandestino comunista in Iraq e per questo è scattato un mandato di arresto nei miei confronti nel 1948. Sono quindi fuggito dall’Iraq a ventidue anni e, dopo aver trascorso un anno in Iran, temendo che mi estradassero sono arrivato in Israele, in una situazione davvero particolare: avevo solo una camicia – continua Sami Michael – non avevo neanche una moneta in tasca e, ancor peggio, ero arrivato in Israele con la lingua del nemico, l’arabo, con la cultura del nemico e persino con il colore del nemico. Per questo il mio primo rifugio in Israele è stato all’interno della minoranza araba. Ho vissuto per cinque anni nel quartiere arabo di Haifa e il romanzo “Una tromba nello uadi” racconta una realtà che ho vissuto veramente; quasi tutti i personaggi di questo libro sono realmente esistiti e, come omaggio, gli arabi di questo quartiere hanno intitolato una strada al mio nome e sui muri di queste strade sono appese parti di questo e di altri libri che ho scritto. Mi sento uno scrittore ebreo ed israeliano che però esprime le ambizioni della minoranza araba.” Appartenente a entrambe le identità, quella araba e quella israeliana, Sami Michael riconosce di essere una figura difficile per le istituzioni governative, per le sue attività e relazioni (è Presidente dell’Associazione per i diritti umani), per i suoi sforzi continui di proteggere la minoranza araba in Israele. E’ definito un uomo di sinistra pur avendo amici anche appartenenti alla destra e spesso vengono scritti articoli contro le sue idee; nel contempo però è invitato dal Presidente della Repubblica e da vari ministri che vogliono conoscere il suo parere per uscire dall’attuale situazione di conflitto. Scrivere in ebraico non è stato facile per Sami Michael; non ha preso nessuna lezione per imparare la lingua eppure dice “L’ebraico è entrato attraverso le mie orecchie e le mie letture e grazie al mio amore per la letteratura: ciò mi ha consentito di creare un ebraico molto vicino alla mia personalità, una specie di “insalata” arabo-ebraica. Quando hanno tradotto il mio libro “Victoria” sono rimasto molto soddisfatto dall’ affermazione di un critico che ha detto: “ E’ un romanzo arabo scritto in ebraico”. E’ quindi inevitabile il legame che unisce Sami Michael agli altri scrittori arabi. Cita come esempio lo scrittore egiziano Mahfuz del quale ha tradotto alcuni libri e definisce una “cultura di guerra” quella che si è sviluppata sia nel mondo arabo che in quello israeliano, una cultura che porta a mostrare l’altro come un nemico, una persona con la quale non puoi vivere né avere un dialogo. “Naturalmente – continua lo scrittore – la letteratura israeliana è molto più sofisticata di quella araba. Se in Israele, che è una democrazia, si può scrivere contro il Governo senza finire in prigione, nei paesi arabi coloro che osano scrivere di pace rischiano la vita. Nel Medio Oriente vi sono tre lingue: quella con cui si parla ai governanti, quella con la quale ci si rivolge alle persone per dir loro esattamente ciò che si aspettano e infine la terza lingua, con la quale si parla a sé stessi ed è la lingua dei pensieri.” Non è da sottovalutare il problema degli scrittori arabi israeliani; se da una parte vengono considerati traditori perché lavorano per il nemico, prendono uno stipendio, insegnano nelle scuole israeliane, in definitiva servono il paese sionista, dall’altra parte sono considerati una sorta di ”quinta colonna”, persone sospette. Quando uno scrittore arabo israeliano vuole scrivere gli si pone dinanzi un dilemma: Scrivo al mondo arabo o a quello israeliano? “Solo un genio – dice lo scrittore – può scrivere la verità in un mondo così diviso”. Per Sami Michael nato a Bagdad nel 1926 dove non c’erano radio, televisioni, letteratura per l’infanzia e neppure una nonna che sapesse leggere un libro, i suoi primi maestri sono stati gli scrittori internazionali che ha conosciuto quando ha iniziato la scuola e che lo hanno formato spiritualmente consentendogli di costruire il proprio mondo interiore attraverso i libri che leggeva. Nella letteratura di qualità è attirato sia dalla forma artistica, sia dalla verità interiore ossia dal coraggio di saper sempre dire la verità. Definisce la sua scrittura come una sorta di “preghiera”. “Una persona può mentire al suo amico – dice – al suo vicino, a sua moglie ma non può mentire a Dio perché Dio è dentro di lui e conosce la sua verità. Scrivere la verità è molto duro e difficile per questo ho scritto ogni libro almeno tre volte, fino a quando non ho sentito che “quella preghiera” era pronta per essere stampata”.

Giorgia Greco


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