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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Yehoshua Kenaz Voci di muto amore - Haim Be’er Lacci d’amore 15/05/2006

Yehoshua Kenaz Voci di muto amore 
Haim Be’er Lacci d’amore
Giuntina

Per diverso tempo la letteratura israeliana, pur così ricca e di qualità, era rappresentata in Italia, soprattutto, dai romanzi di David Grossman, Amos Oz ed A.B Yehoshua.

Da qualche anno la Casa Editrice Giuntina, nella nuova collana “Israeliana” propone, con ottime traduzioni, i romanzi di scrittori noti in Israele ma ancora poco conosciuti al pubblico italiano.

Lungo un percorso che toccherà le città di Milano, Verona, Torino, Chivasso, Venezia, Livorno alcuni autori israeliani presentano in questi giorni i loro ultimi romanzi dai quali traspare non solo la ricchezza e la profondità della loro narrativa ma anche la realtà complessa che si trovano a vivere, in quanto cittadini di Israele: un paese, minacciato nella sua esistenza, nel quale i conflitti entrano nel vivere quotidiano, influenzano i rapporti umani e inevitabilmente anche la loro scrittura. 

 
Ed è proprio a Firenze, culla della lingua italiana, nel suggestivo scenario offerto dal Giardino di Lettura di Via Borgo Pinti che Yehoshua Kenaz e Haim Be’er incontrano il pubblico.

Sia nel romanzo di Kenaz, Voci di muto amore, sia in quello di Be’er, Lacci d’amore, entrambi pubblicati con Giuntina è presente la parola “Amore”: sono romanzi che narrano di vicende profondamente intime, di situazioni private dove la politica è esclusa e dove l’elemento umano con le sue alienazioni e le sue disperazioni è il vero protagonista.

Nel romanzo di Kenaz teatro della storia è una casa di cura per anziani, nell’altro l’autore ripercorre la sua vita in una famiglia ortodossa con una madre autoritaria e possessiva e un padre debole e quasi inesistente. E’ una storia sull’importanza della parola, della memoria ma è anche una storia di ribellione all’ambiente nel quale lo scrittore è cresciuto.

Sul tema della memoria Yehoshua Kenaz afferma che, per quanto riguarda il trauma della Shoah, questo evento tragico per molto tempo è stato rimosso e sia i sopravissuti sia chi era nato in Israele non volevano far emergere quell’argomento.Solo dopo il processo Eichmann si è iniziato a parlare apertamente e a confrontarsi.

“Gli scrittori israeliani – dice Kenaz – ed io con loro, scrivono una letteratura “normale” che nasce dalla loro esperienza, dalle loro radici e dalla propria maturazione. Può essere che qualcuno dei personaggi dei miei libri non faccia sentire la propria memoria: le ragioni possono essere tante, ma non sono uno psicologo e non so spiegarlo.” 

 Alla domanda “come nasce uno scrittore”, quali ragioni personali stanno alla base di questa scelta e in quale contesto si sviluppa,  Yehoshua Kenaz risponde che “lo scrittore che è in me è nato in un modo molto prosaico e del tutto casuale. Avrei potuto occuparmi di qualsiasi altra cosa”.

Con la maestria che caratterizza la prosa dei suoi libri e con l’umorismo e l’allegria che brillano nei suoi occhi ci narra di quando era bambino e viveva a Petach Tikva “una città agricola e provinciale circondata da frutteti” . Per la sua ostinazione a volersi dondolare sull’altalena di Gideon, suo vicino di casa, si prende prima le botte di Gideon e poi i rimproveri dei genitori. Quando nel 1958 la famiglia si trasferisce a Parigi studia e impara il francese e decide di “conquistare la cultura francese”. Un giorno riceve da una sua amica israeliana un pacco contenente una rivista letteraria “Arcobaleno” dove trova….niente meno che un racconto di Gideon! Quella è la molla che fa dire al giovane Yehoshua: “Posso farcela anch’io”.

E così scrive un racconto e lo manda alla redazione della rivista, la quale lo accoglie molto favorevolmente e gliene chiede altri. “All’inizio – dice Kenaz – pensai fosse un capriccio da parte loro, in verità non avevo capito che ero caduto in trappola perché….una volta dentro non potei più uscirne. E così era nato dentro di me quello che oggi è chiamato “scrittore”.

Per Haim Be’er i suoi ricordi sono legati ad una esperienza molto tragica accaduta durante la guerra del Kippur. “Ero arrivato sul Sinai – racconta – e mi occupavo di seppellire i morti e pensavo che c’erano ottime possibilità che non sarei tornato a casa. All’improvviso sotto un bombardamento egiziano scoppiò tutto e dovemmo cercare i resti della nostra macchina e del conducente a 400 metri di distanza. Trovai una mano che indossava ancora l’orologio. Da allora quella mano, che non ho più dimenticato, scrive tutte le mie prose e in esse c’è pietà, intimità, pessimismo ma allo stesso anche un po’ di humor che serve a far tacere il ronzio delle zanzare della morte”.

 Cosa significa essere uno scrittore in Israele? E’ una domanda che Kenaz definisce “inevitabile” e che richiama il concetto di testimonianza e di responsabilità dello scrittore.

“Penso non ci sia in Israele uno scrittore che non sia in qualche modo influenzato dal conflitto, dalla guerra e dalla disperazione che ne segue. La domanda però è “come e quanto”. “La testimonianza è un compito dello storico e del giornalista. Ci sono scrittori nei quali il conflitto fra israeliani e palestinesi è molto diretto, incisivo e centrale nelle loro opere. Per altri si tratta di una realtà sempre presente ma in sotto fondo come un’ombra e spesso l’espressione di questo dramma diventa curiosità e aneddoti benché non importanti né centrali. E questo è il mio caso. I romanzi che scrivo – continua Kenaz –  non contengono tesi ma esprimono sensazioni personali sulle situazioni della vita”.

Per Haim Be’er è importante prendere posizione con articoli sui giornali o partecipando a conferenze, cercando cioè di “portare acqua” al mulino della parte politica in cui si crede. Se nell’adolescenza era un attivista e credeva nella “Grande Israele” , la realtà politica degli anni settanta lo ha profondamente cambiato. Eppure riconosce che il panorama interno israeliano è molto più complesso e complicato di come possa apparire agli occhi degli europei.

Sulla memoria della Diaspora Kenaz ribadisce che la sua generazione è cresciuta leggendo i classici, scritti in ebraico, di scrittori vissuti nella Diaspora.

“Questo è il mio bagaglio. Alcuni di quegli scrittori erano davvero grandi e i migliori sono ancora dentro di me. Eppure sono nato in Terra di Israele (così infatti veniva chiamata la Palestina prima della nascita dello Stato) e l’unica parte della mia vita sulla quale posso scrivere è la vita in Israele. Non ho mai scritto su Parigi benché vi abbia vissuto. E’ vero, non è facile vivere in Israele: per i conflitti, perché non c’è la pace; tutto è più difficile e più complicato ma questa è la mia esistenza e solo su questa posso scrivere”.


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