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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Giorgio Israel
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Alla Columbia University ha vinto Ahmadinejad 28/09/2007

Debbo dire con franchezza che non condivido affatto l’opinione di chi ha apprezzato il discorso con cui il presidente della Columbia Lee Bollinger ha introdotto l’intervento del presidente iraniano Ahmadinejad nella sua università. Bollinger ha affermato: «non credo che lei avrà il coraggio di rispondere alle domande che ho appena formulato» (e che riguardavano le repressioni contro i dissidenti, le donne e gli omosessuali, l’ambizione di dotarsi dell’atomica, il sostegno al terrorismo internazionale e la negazione della Shoah); e l’ha accusato di esibire «tutti i tratti di un dittatore meschino e crudele». Invece Ahmadinejad ha avuto il coraggio di rispondere e ha torto chi ha scritto che alla fine il vero sconfitto è stato proprio lui. Diciamoci la verità: non è stato sconfitto affatto, proprio perché le assurdità che egli ha propinato in risposta alle domande di Bollinger non gli sono costate una rovinosa riprovazione, salve di fischi e lo sdegno degli astanti, bensì una reazione alternata e differenziata: ha avuto la reazione più negativa quando ha detto ridicolmente che non esiste un problema omosessuale in Iran perché non vi sono omosessuali, applausi quando ha parlato dei diritti dei palestinesi e brusii poco chiari quando ha detto cose che avrebbero meritato lo sdegno più totale, ovvero che non c’è ragione di por fine alla ricerca storica sullo sterminio degli ebrei e quando si rifiutato di rispondere alla domanda se si augurasse la distruzione o sparizione di Israele e ha detto, incredibilmente, di non accettare che gli si chiedesse una risposta in merito dovendo essere “un libero referendum a decidere lo status di Israele”, come se lo stato d’Israele non fosse membro dell’ONU, riconosciuto dalla comunità internazionale.

Quindi Ahmadinejad ha vinto perché le sue ignobili infamie non hanno sollevato lo sdegno che meritavano e anzi hanno riscosso persino qualche applauso.

Il professor Bollinger è soltanto un piccolo ipocrita, che si è creato un alibi di fronte allo scandalo destato dal suo invito ridicolmente motivato da una nobile politica ispirata alla libertà d’espressione. Al contrario, come ha osservato Alan Dershowitz la Columbia non inviterebbe affatto, e non invita, persone di idee differenti – persino uno come Dershowitz. Mai vi sarebbe invitato Olmert, per non dire Netanyahu, e se uno di loro vi mettesse piede sarebbe trattato molto peggio di Ahmadinejad. Inoltre, è un comportamento questo sì sciocco e incivile invitare qualcuno per poi dirgli che è talmente spregevole da non essere degno di essere invitato. Tanto valeva non invitarlo, perché non sta scritto da nessuna parte dei codici della libertà di pensiero che si debba dialogare con chiunque, anche con i più efferati criminali. Ma questo il presidente di Columbia non poteva farlo, tanto più che Columbia non invita affatto chiunque.

Il presidente di Columbia è probabilmente soltanto un piccolo vigliacco, che ha tentato di mascherare la vergogna di un invito scandaloso con un pomposo discorsetto. Oppure, e assai più probabilmente, ha fatto soltanto un lavoro di copertura politica delle forze egemoni nella Columbia, con le quali è difficile che sia in totale disaccordo (altrimenti non ne sarebbe presidente…) e che hanno promosso questo scandalo.

È bene ricordare di chi si tratta. Si tratta del gruppo che è stato insediato nell’università dalla decennale opera di “riforma” della medesima compiuta da Edward Said e, in particolare, dal direttore del Middle East Institute (MEI) di Columbia, il palestinese Rashid Khalidi, allievo e amico di Said. Per la precisione, costui ha negato di essere il promotore dell’invito attribuendo l’idea alla SIPA (School of International and Public Affairs) e al suo direttore Richard Bulliet, affrettandosi subito a dire che comunque lui trovava ottima l’iniziativa. Figurarsi… Khalidi ha anche criticato Bollinger e il suo attacco “gratuito” ad Ahmadinejad. Resta il fatto che un simile invito era inevitabilmente avvallato da Bollinger e quindi costui ha fatto una doppia figuraccia.

Quindi, prima di parlare di successo della visione occidentale della libertà della cultura, occorre pensarci due volte. Perché si tratta, in effetti, del contrario esatto. E cioè del trionfo di quella pseudo-cultura improntata all’odio di sé e a una tendenza all’autodistruzione e distruzione. Occorrerebbe proporre una lettura commentata di massa dell’ultimo saggio scritto da Edward Said in cui questo pseudo-intellettuale – in realtà un fanatico propagandista mascherato da accademico – ha spiegato il progetto di demolizione della tradizione della cultura umanistica occidentale da lui perseguito sistematicamente per decenni e che ha trovato in Columbia un laboratorio di elezione e una realizzazione compiuta.

Columbia è un’università in cui non esiste alcuna libertà di espressione, se non quella di attaccare Israele e l’Occidente, di praticare un insegnamento volto alla critica di tutti i valori della civiltà e della cultura occidentale e apertamente comprensivo nei confronti di persone alla Ahmadinejad: forse questi è un caso estremo che desta qualche malessere – non certo nella SIPA o nel MEI! – ma che comunque non è considerato inaudibile o da rigettare in toto.

Non soltanto. Columbia è un riferimento per il network internazionale di coloro che condividono posizioni come quelle accennate. È fresca la notizia di un invito che sarebbe stato fatto al “matematico impertinente” italiano Piergiorgio Odifreddi, le cui posizioni politiche violentemente antiamericane, antisioniste e anticristiane sono ben note. Né va dimenticato – tanto per avere una panoramica chiara delle dinamiche di casa nostra – che il suddetto è uno dei candidati di punta delle liste per Veltroni, capolista in Piemonte, il che evidentemente dice qualcosa sulle idee in politica estera del futuro segretario del Partito Democratico.

Non cantiamo quindi vittoria. Quel che è accaduto pochi giorni fa è estremamente grave e dimostra lo stato penoso in cui si trova la cultura dell’occidente, non soltanto in Europa.

Giorgio Israel


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