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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Giorgio Israel
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Falsi amici 11/07/2007
Mentre Abu Mazen dichiara che con Hamas non tratterà mai, non si 
siederà mai allo stesso tavolo, Piero Fassino dichiara (secondo 
quanto riferisce la stampa) che «bisogna provare a sedersi a un 
tavolo con Hamas, anche senza la pregiudiziale del riconoscimento 
dello Stato di Israele» perché «se ci siede a un tavolo, non è 
solo Israele che riconosce Hamas, ma viceversa». Da un lato si tratta 
di un’argomentazione risibile con la quale si potrebbe 
tranquillamente legittimare Monaco 1938: anche in quel caso, 
sedendosi a un tavolo, ci si è riconosciuti reciprocamente, e poi si 
è visto cosa è successo. Anzi, con questo criterio, il Congresso 
Mondiale Ebraico avrebbe dovuto partecipare a Monaco 1938, almeno in 
qualità di osservatore. Non è escluso che Hitler avrebbe accettato e 
sarebbe stato una bel riconoscimento, in attesa di passare alle 
camere a gas i “riconosciuti”.

Infatti, quel che Fassino forse non ricorda – vogliamo credere che 
non lo ricordi, altrimenti la cosa sarebbe molto grave – Hamas ha un 
programma che non ha nulla da invidiare a quello di Hitler. Ha messo 
addirittura nel suo statuto – o costituzione, secondo come la si 
vuol chiamare – che bisogna andare ad ammazzare ogni ebreo che si 
nasconda dietro qualsiasi pietra, e che questo è un assoluto dovere 
di un buon palestinese che pretenda di essere considerato un buon 
musulmano. Che Hamas sia disponibile a sedersi e a trattare lo sanno 
anche i gatti del cortile della casa di Fassino. Il problema è che 
bisognerebbe convincere Hamas quanto meno a cancellare quei passaggi 
della costituzione, che predicano il dovere assoluto di distruggere 
Israele, di trucidare ogni ebreo e via elencando orrori. Che ne dice 
Fassino? È una richiesta troppo spinta? È intransigenza tipicamente 
israeliana?

Che l’on. Fassino sia stressato appare chiaro, e che sotto stress 
dica cose che non vorrebbe dire, è cosa che può essere compresa. Ma 
c’è un limite a tutto, anche all’indulgenza. Soprattutto se lo 
stress deriva dal dover difendere l’impresentabile politica estera 
del suo impresentabile ministro degli esteri e, al contempo, 
alimentare la sua fama di amico di Israele, perché i due obbiettivi 
sono talmente incompatibili da spezzare la corda tirata oltre ogni 
limite.

Mentre persino Solana bacchetta i 10 che hanno scritto a Blair 
chiedendo di prendere atto del fallimento della Road Map (non del 
fallimento della questione palestinese!) e di aprire una linea di 
credito a Hamas, la nostra politica estera si distingue come la 
riedizione del chamberlainismo più smaccato. D’Alema si dichiara 
preoccupato che vi siano ulteriori sanzioni all’Iran «perché vi è 
il rischio che tra pochi anni ci troviamo nello scenario peggiore: o 
accettare la bomba atomica iraniana, o avere una guerra contro 
l’Iran». Un esempio sopraffino di quell’uso della logica, per il 
quale il nostro ministro degli esteri va famoso e viene definito 
“intelligentissimo” dai suoi adulatori. Difatti, sopprimendo le 
sanzioni, l’Iran si farà l’atomica e la guerra non si farà 
perché nessuno vorrà fare una guerra atomica. Salvo magari l’Iran 
contro Israele. Ma di questo al nostro intelligentissimo ministro non 
importa un fico secco. Del resto quale sia il concetto di 
“equivicinanza” lui l’ha finalmente svelato nell’ultima 
intervista in cui ha parlato di Israele: il suo massimo desiderio è 
che in un modo o nell’altro si creino le condizioni perché si 
riapra il dialogo tra Hamas e Abu Mazen. Insomma, voi credevate che 
D’Alema fosse “equivicino” a Israele e ai suoi nemici? No, egli 
è “equivicino” a Abu Mazen e Hamas. Il guaio è che Abu Mazen, 
dando mostra di un’intransigenza di stile israeliano, non vuole 
riaprire il dialogo. Bisognerà forse imporgli delle sanzioni?

Questa è la politica impresentabile che l’on. Fassino si è 
impantanato a difendere. Se lo fa credendoci o per disperazione, a 
causa di problematiche politiche casalinghe, è cosa che in fin dei 
conti non interessa più.

Un’ultima domanda rivolta a “Sinistra per Israele”: se ci siete 
battete un colpo. Questo è il momento giusto.

Giorgio Israel

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