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Diego Gabutti
Corsivi controluce in salsa IC
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'Violette di marzo', di Philip Kerr 09/02/2020
'Violette di marzo', di Philip Kerr
Recensione di Diego Gabutti


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Philip Kerr, Violette di marzo. La trilogia berlinese di Bernie Gunther, Fazi 2020, pp. 320, 15,00 euro  

Malmaritato, ex poliziotto cacciato dai ranghi a causa del suo scarso amore per la Gestapo, Bernie Gunther è uno che beve troppo e prende troppe botte.Contemporaneo di Hitler e della soluzione finale, il detective berlinese di Philip Kerr è debitore della sua visione del mondo ai classici pulp americani: un po’ ai sorrisi crudeli che scoprono i denti di Humphrey Bogart nel Mistero del falco e un po’ al romanticume amaro e un po’ stucchevole di Philip Marlowe, il cavaliere solitario e private eye di Raymond Chandler. 
Violette di marzo è la sua prima indagine poliziesca. Siamo a Berlino nell’anno delle Olimpiadi, il 1936. C’è un doppio delitto, il partito è preso d’assalto dai nuovi convertiti, le cosiddette «violette di marzo», che stanno aderendo in massa al nazismo e tirano a soppiantare la vecchia guardia. In sordina, per non mettere in allarme gl’inviati della stampa straniera presenti in città, prosegue la caccia ai «giudei» (nonché quella agli omosex da parte della «Squadra Antifinocchi, il dipartimento per l’eliminazione dell’omosessualità, niente di più che una banda di ricattatori»). Cupo e nervoso, il romanzo esplora l’horror quotidiano della vita sotto Hitler e le sue schiere d’indemoniati. Gunther stana assassini; si guarda da SS e Gestapo; si sforza di portare a casa la pelle e l’anima. A metà tra una storia di pirati e una soap opera, la sua è una biografia tumultuosa, in perenne divenire. All’inizio le sue avventure (che saranno, speriamo, tutte ristampate da Fazi, meglio se insieme ai sette inediti ancora da tradurre in italiano) sono noir ambientati nella capitale hitleriana: politici spietati e paranoici, dark ladies ideologicamente spregiudicate, antisemiti furiosi, oppositori voltagabbana, atmosfere tra le storie berlinesi di Christopher Isherwood ( MrNorris se ne va, La violetta del Prater, Addio a Berlino) e i film di Fritz Lang (ma non quelli espressionisti, quelli hollywoodiani, come Gardenia blue, il Grande caldo). Ma con il tempo, un delitto dietro l’altro, le avventure di Bernie Gunther s’allargano, trasformandosi in una vera e propria storia del mondo in chiave hard boiled.

All’inizio, trent’anni fa, quando uscì Violette di Marzo, seguito a tambur battente da altre due romanzi, Il criminale pallido e Un requiem tedesco, Kerr pensava a tre sole inchieste di Bernie Gunther nella plumbea Germania di Adolf Hitler. Prima d’uscire di scena, il poliziotto berlinese avrebbe indagato sulla liquidazione dei capi delle SA (Sturmabteilung, o reparti d’assalto) dopo la notte dei lunghi coltelli, poi sulla Berlino esoterica e gnosticheggiante dell’archeologo Otto Rahn (autore del libro sul catarismo Crociata contro il Graal, caro ai teosofi e forse pure a Steven Spielberg e George Lucas, che secondo alcuni s’ispirarono a lui per la figura di Indiana Jones). Gunther, infine, sarebbe stato coinvolto nell’irruzione dell’Armata rossa a Berlino. Fatto ciò, di Gunther si sarebbero perdute definitivamente le tracce, come del giovane Hans Castorp alla fine della Montagna incantata di Thomas Mann (quando il giovane tubercolotico, guarito dalle febbri che lo tormentano, in particolare dalla febbre della disputa filosofica, lascia il sanatorio svizzero e la sua ombra si dilegua nelle brume delle trincee della Grande guerra, sotto un cielo illuminato dai lampi, «ventre a terra, naso nel fango», finché «nel trambusto, nella pioggia, nel crepuscolo» non svanisce per sempre dalla nostra vista). 
Idem Bernie Gunther: un’ultima avventura a Vienna, dopo gli orrori della guerra hitleriana e dei lager sovietici, quindi buio in sala.Ma non c’è pace per nessuno, figurarsi per gli eroi da romanzo, e così Kerr, dopo la «trilogia berlinese», gli ha donato, come si diceva, una seconda vita. Scampato ai nazi che lo giudicano un tedesco rinnegato,come pure agli alleati che lo considerano un nazista irredimibile, Gunther è costretto a fuggire in Sudamerica a bordo dello stesso sommergibile che porta in salvo Adolf Eichmann, il pianificatore della Shoah processato e giustiziato in Israele nel 1962. 
A Bernie Gunther, per salvarsi la pelle, tocca indossare gli scomodi panni di criminale nazista (glieli ha cuciti addosso l’OSS per salvarlo dalla fatwa che gli è stata lanciata dagli ayatollah dell’NKVD sovietica).

Per i suoi trascorsi di detective, e anche per aver servito nelle SS aderendo (volere o volare) a una di quelle offerte stile Don Corleone che non si possono rifiutare, Gunther viene ingaggiato dal dittatore argentino  Juan Domingo Perón e dalla sua signora, Maria Eva Duarte detta Evita, per stanare un serial killer. Più tardi, all’Avana, tornerà su un vecchio caso risalente all’epoca ormai remota delle Olimpiadi di Berlino. Intorno gangster ebrei e italoamericani come nel Padrino parte seconda (Meyer Lansky, Santo Trafficante) e soprattutto gangster  politici di tutte le scuole novecentesche (i poliziotti sadici e i fucilatori  instancabili di Fulgencio Batista y Zaldívar, i futuri fucilatori instancabili e poliziotti sadicidi Fidel Castro ed Ernesto Guevara).E non basta ancora.Gunther, alla fine,avrà anche una terza vita quando Kerr, rituffandolo e rituffandosi nel passato, tornerà ad ambientare le sue storie negli anni di Hitler e della guerra mondiale (da noi è uscito soltanto uno di questi ripescaggi, La notte di Praga, Piemme 2011). Molto rimpianto, Philip Kerr è scomparso due anni fa. Era un grandissimo scrittore. Aveva pubblicato ogni genere di storie: polizieschi, fantascienza, spionaggio. Ma era nel giallo storico, un genere oggi abusato, che dava il meglio di sé. Al pari del giallo tradizionale e della fantascienza, generi per lo più limitati dalla loro natura meccanica, forzati  a dimostrare una tesi (chi ha ucciso Miss Scarlet in biblioteca con la chiave inglese) oppure a mettere in musica questo o quel processo tecnologico, anche la Storia (maiuscola) si è a lungo vantata, da Hegel in avanti, d’essere un meccanismo perfettamente oliato e infallibilmente puntato verso mete garantite e prevedibili –un modello idraulico, come l’universo caricato a molla di Cartesio. 
Philip Kerr, che la sapeva più lunga, non riconosceva alla storia questo ridicolo privilegio. Preferiva raccontarla, senza bellurie, come una manifestazione del Caos: una sorta di Bestia biblica, o di Balena bianca, malvagia e imponderabile. 

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Diego Gabutti

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