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Diego Gabutti
Corsivi controluce in salsa IC
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'Prigioniera di Stalin e Hitler', di Margarete Buber-Neumann 21/08/2019
'Prigioniera di Stalin e Hitler', di Margarete Buber-Neumann
Recensione di Diego Gabutti

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Margarete Buber-Neumann

Ogni tanto, tra polemisti sfaccendati e metafisici del nulla, torna al centro delle cose l’eterna questione: chi ha fatto peggio tra nazisti e comunisti? Immancabilmente, la medaglia d’oro per le peggiori mascalzonate viene assegnata ai nazisti. Ai comunisti va quella d’argento e, quando il pubblico è distratto, anche soltanto quella di bronzo (l’argento va a Mussolini, in questo caso, o alle Bombe Yankee sul Giappone). Questo perchè Stalin, in fondo, stava dalla parte del popolo, mentre è noto che Hitler odiava il popolo ed era uno strumento del capitalismo. C’era insomma una ragione se Baffone sterminava i kulaki a decine e decine di milioni, per non parlare dei milioni di nemici politici liquidati insieme alle loro famiglie, delle donne fucilate, dei bambini internati nei campi: lo faceva «nel nome della causa», dunque per il loro bene. Hitler, invece, sterminava gli ebrei (e i gay, gli zingari, gli avversari politici, gli handicappati) perché posseduto dal demonio capitalista: lo faceva «per il profitto». Stalin era un «socialista», one of us, mentre Hitler non soltanto sterminò gli ebrei, ma era così infame che attaccò il povero Stalin a tradimento, benchè tra loro ci fosse un trattato d’alleanza. Hitler era un mostro, per di più sleale, mentre Stalin era solo troppo impaziente di portare il paradiso in terra. Per questo c’è ancora gente, in giro per il mondo, soprattutto tra gli storici benpensanti, che se proprio dovesse essere sterminata, be’, si farebbe sterminare volentieri dai marxisti-leninisti, non fosse che per il piacere di preparare il terreno ai piani quinquennali della «futura umanità», mentre s’offenderebbe a morte se qualche nazionalsocialista, per rendere millenario il Quarto o Quinto Reich, decidesse di cacciarla in un forno e passarla per il camino.

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La copertina (Il Mulino ed.)

Non sono meglio, però, gli storici cosiddetti «revisionisti», che l’ovvia equivalenza tra regimi terroristici, evidente a chiunque abbia patito le pene dell’inferno sotto gli uni o gli altri indemoniati, la fanno sempre cadere un po’ dall’alto, come una mancia nelle tasche del posteggiatore. Poi il Mulino – qualche anno fa, e il libro è ancora in catalogo –traduce Prigioniera di Stalin e di Hitler, pp. 348, € 14,00, dell’ex comunista tedesca Margarete Buber-Neumann, che negli anni venti era sposata col figlio del filosofo ebreo Martin Buber e che dieci anni più tardi seguì a Mosca il suo secondo marito, Heinz Neumann, uno dei capi militari dell’Internazionale comunista. Prigioniera di Stalin e di Hitler chiude semplicemente ogni discussione su chi è peggio tra Hitler e Stalin col racconto puro e semplice della vita dell’autrice dietro i reticolati sia sovietici che nazisti. Deportata in Siberia nel 1938, dopo l’arresto e la fucilazione del secondo marito, accusato di «trotzkismo», Margarete venne consegnata ai nazisti, insieme a tutti i comunisti tedeschi internati nei campi sovietici, qualche tempo dopo la firma del Patto Molotov-von Ribbentrov, nella cui scia Stalin e Hitler aggredirono insieme (e poi si spartirono, da buoni compagni) la Polonia. Nel 1940, in pieno conflitto europeo, mentre le guerre-lampo e i blitz del Terzo Reich spazzavano via una nazione civile dopo l’altra, Margarete Buber-Neumann e gli altri marxisti eretici tedeschi furono trasferiti, dalla sera al mattino e senza soluzione di continuità, dai lager di Stalin a quelli di Hitler. Già allora non era più questione di chi fosse «peggio» e chi «meglio» tra Hitler e Stalin. Erano esattamente la stessa cosa. Coltivavano lo stesso progetto, il dominio universale, e avevano gli stessi nemici, le democrazie e chiunque non si piegasse davanti ai loro eserciti. Più tardi, è vero, si sarebbero combattuti tra loro, ma come due galli nello stesso pollaio, e il colpo che non era riuscito a Hitler, trasformare l’Europa in un gigantesco campo di concentramento, riuscì almeno per metà a Stalin, che mise alla catena e recintò col filo spinato mezzo continente. Libro senza fronzoli, nel quale parlano le cose, Prigioniera di Stalin e di Hitler è un viaggio dantesco nell’inferno dei totalitarismi. «Demoni» dostoevskjiani e «pallidi delinquenti» nietzschiani reggono i forconi e la libertà dei popoli è nei tormenti. Ma alcuni, soprattutto i comunisti deportati, apprezzano la sana disciplina dei campi, sia di quelli sovietici che di quelli nazisti. Del nazionalsocialismo i comunisti internati da Hitler approvano inoltre le «coraggiose riforme sociali». Dello stalinismo, poi, sono ancora innamorati, anche a pane e acqua, anche nelle camere a gas, tanto che Margarete Buber-Neumann, alla fine della sua avventura, quando le SS fuggiranno dal campo dopo aver abbandonato le divise, dovrà fuggire proprio da loro, i comunisti deportati, suoi compagni di prigionia, che altrimenti la consegnerebbero, per un altro giro di giostra siberiano, ai kapò dell’Armata Rossa.
(Italia Oggi, 7 maggio 2016)


Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), di Sette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore di Italia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: "Un’avventura di Amedeo Bordiga" (Longanesi,1982), "C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone" (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); "Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli" (Rubbettino, 2003). "Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)

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