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Antonio Donno
Israele/USA
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L'Iran rischia, alla Casa Bianca non c'è più Obama 21/06/2019
L'Iran rischia, alla Casa Bianca non c'è più Obama
Commenti di Antonio Donno, Giovanni Quer

Testata: Informazione Corretta
Data: 21 giugno 2019
Pagina: 1
Autore: Antonio Donno-Giovanni Quer
Titolo: «Le tecniche iraniane per provocare un clima di tensione - Iran e USA giocano a risiko, e Israele può pagare caro»

L'Iran non si è ancora reso conto che alla Casa Bianca non c'è più Obama, con Trump non la passerà liscia. Oggi, 21/06/2019, i commenti di Antonio Donno e Giovanni Quer, tutto quanto c'è da conoscere sull'Iran nucleare e sugli attacchi di Teheran per provocare gli Usa.
In altra pagina, una rassegna delle titolazioni dai quotidiani di oggi.

a destra: prima e oggi

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Ma lui non l'ha ancora capito

Antonio Donno: Le tecniche iraniane per provocare un clima di tensione

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Antonio Donno

Il regime iraniano ha affermato che, alla scadenza del 7 luglio, si ritirerà dall’accordo sulla non proliferazione delle armi nucleari firmato nel 2015 con gli Stati Uniti ai tempi di Obama e con altre potenze europee. A questo punto, si pone un interrogativo: l’Iran ha mai messo in pratica l’adesione a quell’accordo? La sua adesione è stata solo formale o anche sostanziale? E che cosa faranno gli europei se l’Iran dovesse ritirarsi? Gli Stati Uniti di Trump hanno già annullato la loro adesione, convinti che Teheran non abbia mai messo veramente in atto la sua e che il suo progetto di arricchimento dell’uranio sia andato avanti segretamente. Qualche tempo fa, Netanyahu aveva rivelato questa realtà grazie al lavoro del Mossad, che era penetrato nelle segrete stanze degli impianti atomici iraniani e acquisito le prove della violazione sistematica dell’accordo da parte dell’Iran. Del resto, per quale motivo l’Iran avrebbe dovuto rispettare l’accordo e sospendere l’arricchimento, se il suo progetto imperialistico è di conquistare il Medio Oriente? Al contrario, era fondamentale interesse di Teheran acquisire il benvolere dei suoi potenziali nemici firmando un accordo che lo avrebbe messo al sicuro da accuse, condanne e rappresaglie. Da parte europea, il petrolio iraniano a basso costo – considerata la congiuntura internazionale – era ragione più che sufficiente per rispettare l’accordo e non ficcare il naso nelle faccende iraniane. Di fronte al ritiro americano dall’accordo e alle pesanti sanzioni stabilite da Trump, la situazione interna iraniana è divenuta pesante. Nello stesso tempo, nello Stretto di Ormuz, in due diversi momenti alcune superpetroliere sono state oggetto di attacchi e di danneggiamenti. L’Iran ha sempre negato di essere il responsabile di questi attacchi. La domanda, tuttavia, è la seguente: quale paese avrebbe interesse ad attaccare le superpetroliere, se non l’Iran? Inoltre, c’è da aggiungere che questi non hanno riguardato navi americane, perché la cosa sarebbe stata insostenibile da parte di Washington. L’intento di Teheran è quello di creare un clima di tensione in quell’area per spingere Washington ad una reazione militare. Una reazione di tal genere da parte americana nei confronti di un paese che nega di essere l’autore degli attacchi alle superpetroliere sarebbe un errore molto grave. Gli stessi Giappone e Norvegia, le cui navi sono state danneggiate dagli attacchi dei pasdaran iraniani, non sono stati in grado di attribuire la causa all’Iran. Del resto, sia il Giappone, sia la Norvegia hanno bisogno del petrolio iraniano e per questo motivo non hanno alzato la voce. Inoltre, il danneggiamento delle due navi non ha provocato dispersione di petrolio nel Golfo Persico e nello Stretto di Ormuz, perché l’inquinamento avrebbe suscitato la reazione degli Stati che si affacciano sul Golfo, Emirati Arabi Uniti e Oman, e le stesse coste opposte dell’Iran. Tuttavia, questi attacchi a navi non americane fanno parte di una strategia ben precisa, cioè di tener alta la tensione e di rendere vana ogni possibilità di soluzione. È quello che vuole Teheran. Ogni ritorsione nei suoi confronti non avrebbe la necessaria approvazione internazionale, non essendoci prove evidenti della responsabilità iraniana. Trump fa bene a non insistere nelle accuse all’Iran, poiché le sanzioni nei confronti di Teheran costituiscono già un fardello pesantissimo per l’economia di quel paese. Egli attende il 7 luglio e le mosse degli europei. Sembra assai improbabile che i paesi europei ricontrattino un accordo con l’Iran, in assenza degli Stati Uniti. Se l’accordo non dovesse essere rinnovato, la sconfitta iraniana sarebbe totale e gli attacchi nello Stretto di Ormuz non avrebbero più senso. Anche le posizioni russe in difesa dell’Iran sarebbero aria fritta. L’Iran non oserà mai attaccare navi americane, perché la responsabilità sarebbe evidente a livello internazionale. La deterrenza messa in atto da Trump sul piano economico darà i suoi frutti nel tempo, se l’Iran non avrà alcun paese amico cui ricorrere per evitare l’implosione sociale. La Russia è in crisi economica. Solo la Cina, nella sua potente politica di espansione economica, potrebbe offrire una spalla. Ma, a quel punto, si aprirebbero scenari imprevedibili. 

Giovanni Quer: Iran e USA giocano a risiko, e Israele può pagare caro

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Giovanni Quer

Martedì 18 giugno il Presidente Rouhani inaugura il Terminale Salam dell’Aeroporto Khomeini, a 30 km a sud di Teheran, destinato a esser in futuro un autonomo aeroporto attorno al quale l’attuale governo spera che si svilupperà una città. Costruito inizialmente in cooperazione con società francesi e olandesi, poi apparentemente ritiratesi per via delle sanzioni di Trump, l’inaugurazione del nuovo terminale è stata un’occasione per definire alcuni messaggi. Secondo Rouhani, che ha assistito alla cerimonia, l’Iran sta combattendo una “guerra contro la malvagità”, cui risponde con speranza e forza di volontà. La costruzione del terminale sarebbe la riprova che le sanzioni non funzionano, e che l’economia iraniana sta fiorendo nonostante la politica americana. Un giorno prima il portavoce del Ministero degli Esteri Abbas Mousavi ha accusato l’Arabia Saudita di attuare una politica di distruzione e tensione a spese della popolazione e delle nazioni della regione - alludendo anche all’appoggio straniero. Stani Uniti, Regno Unito e Arabia Saudita non hanno dubbi che sia stata Teheran a colpire le due petroliere. Gli Stati Uniti hanno spostato altre mille truppe in Medio Oriente che si sommano alle risorse militare già spostate nei mesi scorsi (circa 1500 truppe, una batteria di missili Patriot e qualche portaerei) e hanno la diretta conseguenza di aumentare la sensazione di accerchiamento di Teheran. La politica di Pompeo e Trump intende esercitare una costante pressione per costringere il nemico a un accordo. L’Iran è frustrato. Le sanzioni americane hanno dato un duro colpo all’economia iraniana che si stava riprendendo dopo la firma dell’accordo sul nucleare. La speranza di trovare nell’Europa un sostegno contro l’America non si è tradotta in realtà. La Russia e la Cina, nonostante gli intensi incontri e le pompose dichiarazioni, non si sono dimostrate nemmeno così generose verso l’Iran, che reagisce con alcune mosse: l’attacco alle petrolifere, il ritiro da alcuni impegno del JCPOA (l’accordo sul nucleare), l’abbattimento di un drone americano e i disordini in Iraq e in Yemen. Un articolo pubblicato ieri sul quotidiano iraniano Jam-e Jam spiega la posizione di Teheran, espressa da Rouhani nei numerosi summit della scorsa settimana e in occasione dell’incontro ufficiale con la delegazione giapponese. L’Iran accusa gli USA di aggressione e l’Europa di non rispettare il JCPOA, pertanto ha lanciato il mese scorso l’ultimatum di 60 giorni per il rispetto dell’accordo. Se l’Europa non rispetterà l’art. 26, cioè l’impegno a non imporre sanzioni sull’Iran, allora Teheran non rispetterà l’art. 36, cioè l’impegno a deferire ogni conflitto ad un organo congiunto per la composizione delle controversie. Ora è Teheran che dà ultimatum all’Europa, e mostra agli USA di cosa sarebbe capace: l’attacco alle petrolifere e l’attacco al drone di ricognizione Hawk, come riportato oggi dalla stampa iraniana e ripetuto dal comandante delle Guardie della Rivoluzione Hossein Salami. Gli USA non hanno smentito l’abbattimento, limitandosi a dire che nessun veicolo aereo americano operava nello spazio aereo iraniano. Altri due messaggi sono stati mandati dall’Iran al mondo arabo, usando le milizie pro iraniane in Iraq e in Yemen. In Iraq, mercoledì sono stati lanciati due missili da territorio iracheno verso le compagnie petrolifere a sud di Bassora. L’Iraq si tiene distante dalla tensione tra Teheran e Washington, ma il quotidiano al-Arabiya non esita a puntare il dito contro gli agenti iraniani in Iraq come responsabili di quella che ha definito “la guerra dei katyusha” (contro obiettivi USA a Mosul e ora contro le industrie petrolifere). Poi c’è il missile lanciato in Arabia Saudita dagli Houthi che avrebbe colpito una centrale elettrica nel sud dell’Arabia Saudita, forse in risposta alla battaglia di al-Badya nei giorni scorsi, dove le milizie sostenute dall’Iran hanno subito una sconfitta, o forse come semplice messaggio che Teheran ha mandato a Riyad. La domanda che in Israele ci si pone è: vorrà Teheran dimostrare qualcosa anche a Gerusalemme? Netanyahu ha avvertito che le forze militari israeliane possono annientare i nemici, ma il Gabinetto di Sicurezza si è riunito questa settimana già due volte per discutere della situazione di tensione nella regione, come riporta Ynet. Teheran ha avvisato l’Arabia Saudita attraverso gli Houthi e così potrebbe fare attraverso Hezbollah dal Libano o dalla Siria oppure attraverso Hamas o Jihad Islamico da Gaza contro Israele. L’esercito israeliano ha appena concluso una lunga esercitazione che ha coinvolto tutte le forze dell’areonautica e altri reparti dell’esercito per rispondere a un attacco contemporaneo su più fronti e soprattutto al lancio di missili S-300 e S-400 verso Israele. Come riporta la rete di stato Kan, è stata l’occasione per fare uso anche degli arei F-35 di nuova produzione. L’Iran non vuole una guerra perché ne uscirebbe sconfitto, preferendo usare le milizie che controlla in Libano, in Iraq e in Yemen. La politica di tensione americana vuole costringere il regime degli Ayatollah al dialogo, ma Teheran adotta la stessa strategia, con attacchi qui e lì per causare una crisi economica con i prezzi del petrolio, nella speranza che gli USA ritornino allo scenario JCPOA. Qualsiasi mossa può trascinare la regione in un conflitto armato o a un nuovo equilibrio.



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