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Antonio Donno
Israele/USA
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Che cosa cambia in Medio Oriente 10/06/2019

Che cosa cambia in Medio Oriente
Analisi di Antonio Donno

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Benjamin Netanyahu, Donald Trump

Una valutazione della posizione degli Stati Uniti nel Medio Oriente non può prescindere dal quadro generale di una regione in cui gli attuali attori sono assai diversi da quelli che hanno dominato la scena mediorientale per molti decenni del dopoguerra. Crollata l’Unione Sovietica, destabilizzati quasi tutti gli stati arabi che hanno fatto corona intorno agli interessi di Mosca nella regione per contrastare la presenza americana e per combattere Israele, i nuovi attori dipingono uno scenario per alcuni versi più pericoloso rispetto a quello in cui la presenza delle due superpotenze determinava e dirigeva le mosse sulla scacchiera del Medio Oriente, operando con la massima attenzione per non provocare uno scontro diretto. I quattro fattori cruciali che hanno costruito il nuovo Medio Oriente nel corso degli ultimi decenni a cavallo del secolo sono: la rivoluzione islamista in Iran; il crollo del comunismo sovietico e delle sue congiunzioni internazionali; le “primavere arabe”, che sono fallite ma che hanno determinato cambiamenti politici sostanziali negli stati arabi percorsi da quei movimenti; l’avvento di Erdogan in Turchia. Se questi fattori sono considerati contestualmente nella scena mediorientale, si comprende bene che la regione presenta oggi un quadro politico e strategico del tutto diverso da quello del periodo post-bellico. Intanto, il ritiro delle truppe americane dalla Siria non è avvenuto. Questo è un dato di estrema importanza. Benché i militari americani non superino le duemila unità, è pur vero che posseggono un arsenale militare in grado di fronteggiare ogni evenienza. Il loro posizionamento nella parte settentrionale della Siria ha un significato molto preciso e tocca uno dei fattori che si è elencato: il regime di Erdogan in Turchia e la sua propensione verso la regione curda nel nord della Siria. Gli accordi che da tempo sono stati stabiliti tra Turchia, Russia e Iran vanno proprio nella direzione della cogestione del Medio Oriente; e per Ankara, è indispensabile sottomettere i curdi siriani, utilizzando anche i terroristi dell’ISIS e di altre formazioni terroristiche, sia per eliminare l’endemico pericolo che i curdi hanno rappresentato e rappresentano per la Turchia in funzione della creazione di uno stato curdo comprendente anche la regione curda all’interno della parte meridionale della Turchia; sia per esercitare in qualche modo una propria presenza attiva nello scenario mediorientale del futuro. Il ruolo dell’Iran, dopo la rivoluzione khomeinista, è ormai ben noto e abbondantemente analizzato a livello internazionale.

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Ma, forse, è opportuno riportare alla mente quello che fu nei secoli passati l’Impero Persiano sotto la dominazione islamica. È un rischio d’analisi, ma al fondo della riproposizione, in chiave di riesame di una vicenda secolare, di quella storia di potenza v’è la riemersione di una mentalità che unisce, oggi come nel passato, religione e politica. Dopo la conquista islamica della Persia, alla fine del VI secolo, e l’imposizione dello sciismo, nel corso del tempo la Persia sciita tentò di espandersi e di diffondere lo sciismo, prima nella Mesopotamia, poi in vaste regioni dell’Asia centrale, oggi gli stati dell’Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Tagikistan, e soprattutto Afghanistan. Dopo la presa del potere da parte degli ayatollah sciiti, il progetto di estendere lo sciismo nel mondo arabo è riemerso prepotentemente. Poiché gli attuali stati citati erano parte dell’Unione Sovietica prima, e poi, dopo il crollo del comunismo sovietico, entità statali indipendenti, ma sotto l’attento controllo della Russia, e quindi inattaccabili da parte dello sciismo del nuovo Iran, anche in virtù dell’alleanza fra i due paesi nella gestione della crisi siriana, il punto di partenza della conquista sciita fu il cuore del Medio Oriente sunnita, grazie, appunto, all’insorgere della rivolta siriana, la “primavera araba” siriana. La crisi del Medio Oriente sunnita è dovuta, in buona parte, al fallimento delle “primavere arabe”. I movimenti che hanno tentato di eliminare le vecchie gestioni del potere non hanno potuto godere di alcun appoggio esterno, se non in modo parziale e temporaneo, e alla fine, il regime di Assad, grazie al determinante sostegno dell’Iran e della Russia, ha potuto riprendere il controllo di gran parte del paese, anche se in modo indiretto, a causa della presenza dei militari russi e filo-iraniani. In sostanza, la sconfitta della “primavera siriana” ha dato luogo a novità politiche cruciali che si riallacciano a due eventi che fanno parte della storia della regione: il progetto sciita iraniano di conquista del mondo sunnita, sia politicamente, sia religiosamente (due fattori indistinguibili nella concezione sciita), e quello di matrice zarista di estendere l’influenza di Mosca a sud del Caucaso, il sogno dello “zar” Putin. Il quarto e ultimo aspetto della crisi mediorientale è rappresentato dalle ambizioni russe, alle quali si è fatto riferimento a proposito dei primi tre fattori analizzati. Al di là della necessità di tollerare la presenza iraniana, la Russia di Putin intende sostituire stabilmente gli Stati Uniti che Obama volle estraniare dalle vicende della regione. Come questo possa avvenire a causa delle eguali ambizioni di Teheran, soltanto il tempo potrà dircelo. Intanto gli Stati Uniti di Trump, pur essendo fisicamente presenti soltanto nel nord della Siria, politicamente hanno dato un formidabile sostegno politico a Israele e, nello stesso tempo, hanno intrecciato rapporti di reciproca intesa con alcuni paesi arabi, in particolare con l’Arabia Saudita. Infine, un altro decisivo fattore deve essere menzionato, perché in prospettiva potrà essere cruciale per la situazione del Medio Oriente: la crisi economica di Turchia, Russia e Iran. Questo ha costretto Putin a riannodare i rapporti con la Cina, l’unica potenza in grado di venire incontro alle necessità russe; resterà da vedere le contropartite che Pechino chiederà a Mosca. Per quanto riguarda la Turchia e l’Iran, quest’ultimo sottoposto alle stringenti sanzioni americane, occorrerà attendere gli eventi futuri.

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Antonio Donno


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