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Antonio Donno
Israele/USA
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'Supersession': un nuovo modo per affrontare i problemi politici 29/04/2019

'Supersession': un nuovo modo per affrontare i problemi politici
Analisi di Antonio Donno

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“Supersession” in inglese significa la sostituzione di una persona o di una cosa con un’altra persona o un’altra cosa. Una definizione semplice che però nella scienza politica odierna ha acquisito un significato che, applicato alle relazioni internazionali, potrà avere uno sviluppo molto interessante. Secondo Raphael G. Bouchnik-Chen, che ha fatto parte, in qualità di analista, della IDF Military Intelligence di Israele e che ha pubblicato un breve ma denso articolo su “Besa Perspectives” del Begin-Sadat Center di Tel-Aviv il 25 aprile scorso, la politica attuale di Donald Trump si sta ispirando a questa nuova concezione delle relazioni internazionali. Non che Trump lo abbia dichiarato esplicitamente e lo abbia sviluppato in una nuova dottrina strategica, come spesso è stato fatto da molti presidenti americani, ma la sua azione in campo internazionale appare effettivamente seguire un corso di grande pragmatismo che si rifà al concetto di “supersession”, cioè di sostituzione di un approccio politico fino a quel momento seguito con un nuovo approccio costruito sulla valutazione pragmatica della realtà. In sostanza, seguire una politica fondata su principi e ideali, secondo la tradizione wilsoniana, può rivelarsi fallimentare e perciò deve essere sostituita con un’azione che di volta in volta scaturisca dall’analisi pragmatica della realtà quale si evidenzia nei fatti. È interessante applicare questa nuova visione degli affari internazionali ad alcune singole iniziative messe in campo da Trump. Il caso dell’Iran è, in questo senso, molto esemplificativo. Il presidente Obama e i leader dei paesi europei hanno firmato con l’Iran un trattato sul controllo delle armi nucleari, che impegnava Teheran a sospendere ogni attività di incremento del suo arsenale nucleare. Il trattato fu firmato sul principio della buona fede, del rispetto del suo contenuto e della fiducia reciproca.

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Donald Trump con Benjamin Netanyahu

Tutti fattori che, a partire dai trattati finali della Grande Guerra, hanno fatto parte della “sacralità dei patti” di wilsoniana memoria. Tuttavia, si è potuto constatare in modo inequivocabile che l’Iran ha approfittato della fiducia concessa dagli occidentali e della superficialità dei controlli previsti dal trattato per continuare nello sviluppo del proprio arsenale atomico. Di fronte a questa realtà, Trump ha provveduto a operare una “supersession”: ha rigettato l’accordo e ha provveduto ad applicare severe sanzioni economiche al regime iraniano. In sostanza, poiché Teheran è venuta meno a un accordo, quest’accordo non ha più valore e, perciò, è stato sostituito unilateralmente da iniziative americane fondate sulla valutazione pragmatica della nuova realtà dei fatti, operando una “supersession”. È ciò che è stato fatto da Donald Trump. Si può dire, perciò, che la “dottrina Trump” – se vogliamo usare ancora quest’espressione – si allontana vistosamente dai caratteri delle precedenti dottrine – basate su elaborate visioni di un problema strategico e di messa a punto di iniziative politiche o militari di lungo periodo – per attestarsi su valutazioni pragmatiche della realtà in movimento e operare una “supersession” là dove essa è necessaria, una “sostituzione”. L’altro caso molto esplicativo dell’azione di Trump riguarda la questione israelo-palestinese. Trump ha preso atto che Gerusalemme ormai fa parte integrante della realtà israeliana e che ogni tentativo di modificare questa realtà non ha più senso. Al di là della vicinanza di Trump alle ragioni di Israele, diversamente dall’atteggiamento di Obama, il fatto è che Trump ha ritenuto che riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele è un atto che deriva dall’esistenza di un dato concreto sul terreno. Lo stesso discorso vale per il Golan. Con il riconoscimento del Golan come parte definitiva del territorio israeliano, Trump ha riconosciuto che quelle alture sono di fatto occupate da molto tempo dalle forze israeliane per assolute ragioni di sicurezza. Il dato di fatto, dunque, ha determinato una “supersession” da parte del presidente americano. Sia per Gerusalemme, sia per il Golan, Trump ha voluto “sostituire” all’incertezza della situazione, preferita da molti, la certezza di un dato di fatto. Infine, il problema dei rifugiati palestinesi. Finora essi sono stati generosamente sostenuti da organizzazioni internazionali come l’UNRWA, sulla base di ricostruzioni storiche che hanno comportato un’enfatizzazione della questione e perciò rimandato, per ragioni di convenienza politica, la sua soluzione. Di fronte al riconoscimento di questa falsa realtà, Trump ha deciso di operare una “supersession”, diminuendo drasticamente il contributo americano all’UNRWA e dando, così, un segnale chiaro circa la posizione americana a proposito dell’ambiguità della questione dei rifugiati palestinesi, un’ambiguità cui ha voluto “sostituire” un atto concreto derivante dall’osservazione pragmatica della vera portata del problema. In definitiva, il pragmatismo del presidente Trump non ha il carattere di improvvisazione politica, come i suoi detrattori sostengono, ma scaturisce da un’impostazione mentale attenta alla realtà dei fatti concreti, cui occorre dare una risposta altrettanto concreta mediante una “sostituzione” (supersession) di ciò che non funziona con un’iniziativa intesa a dare una soluzione aderente alla realtà.

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Antonio Donno


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