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Antonio Donno
Israele/USA
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Donald Trump e il Medio Oriente 24/10/2018

Donald Trump e il Medio Oriente
Analisi di Antonio Donno

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Donald Trump

Nella storia delle relazioni tra gli Stati Uniti e Israele, l’Amministrazione di Donald Trump si distingue per alcune fondamentali novità che sono l’espressione politica di un’attenta valutazione della situazione odierna del Medio Oriente, o di quello che era definito tradizionalmente il Medio Oriente del secondo dopoguerra fino agli sconvolgimenti politici odierni. Per tutti gli anni dalla nascita dello Stato di Israele ad oggi la politica di Washington si è contraddistinta per un sostanziale appoggio alle ragioni dello Stato ebraico, con l’eccezione dell’Amministrazione di Eisenhower – il cui distacco da Israele era funzionale ad un tentativo di avvicinamento alle ragioni dei Paesi arabi, in particolare all’Egitto di Nasser, in funzione anti-sovietica – e di quella di Obama, concentrata nell’obiettivo di varare un accordo sul nucleare con l’Iran degli ayatollah. In effetti, le ragioni delle novità della politica mediorientale di Trump risiedono negli sconvolgimenti che hanno mutato radicalmente il contesto regionale, ora dominato dal totalitarismo teocratico di Teheran. Proprio questo nuovo tipo di regime totalitario su base religiosa costituisce il fatto nuovo e più pericoloso nella regione rispetto al passato. L’obiettivo del totalitarismo teocratico sciita consiste nella conquista del mondo arabo sunnita e wahabita in forza della presunta superiorità della versione sciita dell’islamismo che fa della lotta fanatica contro i rivali islamici un dovere assoluto per il dominio del Medio Oriente e poi, in prospettiva, del mondo intero. Proprio in tutto ciò sta la novità rivoluzionaria della situazione mediorientale. Infatti, in tutti i decenni del secondo dopoguerra le Amministrazioni americane hanno avuto come controparte nella regione gli Stati arabi dominati da regimi militari, ma sostanzialmente “laici”, in cui la religione aveva un ruolo importante, come in tutti i Paesi islamici, ma non così vincolante da impedire ai militari al potere di sviluppare relazioni diplomatiche indipendenti rispetto al potere religioso.

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Oggi, invece, la presenza nel Medio Oriente di uno Stato teocratico con ambizioni imperialistiche ha dato un diverso volto alla regione, e complicato le relazioni con questo Paese. Per questo motivo, si deve dire che la politica di Obama verso Teheran ha rivelato l’impossibilità di un reale accordo politico fra uno Stato democratico e un totalitarismo teocratico, perché l’Iran ha continuato a sviluppare il proprio arsenale nucleare in violazione degli accordi con Washinton e le capitali europee, come hanno dimostrato le scoperte degli uomini del Mossad israeliano infiltrati in Iran. E questo, in ragione del progetto rivoluzionario sciita di conquista del Medio Oriente e infine del mondo. L’Amministrazione Trump è consapevole del progetto di Teheran e dell’obiettivo che l’Iran intende raggiungere. Per questo motivo, vede nella protezione di Israele un nesso strettissimo con l’abbattimento del regime teocratico sciita iraniano. Poiché il fanatismo religioso del regime iraniano è tale da non concepire un vero accordo con l’Occidente – il nemico da abbattere dopo quello rappresentato dal mondo arabo sunnita – in virtù della pretesa superiorità dell’islamismo sciita e del suo progetto imperialistico, Trump si propone di minare le basi economiche e sociali del regime di Teheran per giungere all’obiettivo di farlo crollare mediante sempre più pesanti sanzioni economiche, nella speranza, tuttavia, che tale crollo avvenga dall’interno, per opera di una popolazione stremata dalla povertà e perciò incline a ribellarsi contro un regime affamatore. I segnali sono sempre più evidenti. Tutto questo è andato di pari passo con la rescissione dell’accordo sul nucleare voluto da Obama e soci europei. Come si è detto all’inizio, contemporaneamente alle misure americane contro il regime iraniano si è andata rafforzando la connessione tra Washington e Gerusalemme: un salto di qualità molto importante rispetto a tutta la precedente politica americana verso Israele. Tutte le misure prese da Trump sono indirizzate alla difesa dello Stato ebraico e all’indebolimento delle posizioni ostili: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, il trasferimento dell’Ambasciata americana in quella città, la recente cospicua concessione di denaro per la difesa, la riduzione drastica di aiuti finanziari all’Autorità Palestinese e alle organizzazioni internazionali che lavorano nell’area, il mantenimento delle truppe americane in una regione della Siria: sono tutte iniziative facenti parte di una politica complessiva che tende, insieme all’obiettivo di ridimensionare progressivamente l’Iran e il suo progetto di conquista, a difendere Israele e, in prospettiva, a normalizzare il Medio Oriente. Il fattore russo è tutto da riconsiderare. La presenza della Russia è un altro fondamento aspetto della situazione della regione, aspetto che è strettamente connesso agli sviluppi della politica di conquista di Teheran. L’Amministrazione Trump, questo proposito, mantiene un atteggiamento cauto, probabilmente in attesa di una reazione russa nel momento in cui Washington avrà reso noto il suo piano per la soluzione della questione israelo-palestinese.


Antonio Donno


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