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Antonio Donno
Israele/USA
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John McCain, quanta ipocrisia in quelle lodi 28/08/2018

John McCain, quanta ipocrisia in quelle lodi
Commento di Antonio Donno

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John McCain                  Donld Trump

La morte del senatore repubblicano John McCain toglie le castagne dal fuoco a Donald Trump. Dispiace dirlo, ma la realtà è questa, e le conseguenze che ne scaturiranno dimostreranno che la scomparsa del maggiore oppositore di Trump all’interno del Partito Repubblicano renderà meno complicata la politica interna e internazionale del presidente. Inoltre, il Partito Democratico ha perso un elemento di spicco che, in determinate circostanze – come quella relativa alla proposta trumpiana di abolire l’Obamacare –si è schierato con i Democratici nel far fallire il progetto di Trump. Ora, i giornali di tutto il mondo, compresi molti italiani, tessono le lodi di McCain, e giustamente, perché il senatore repubblicano è stato un uomo politico di prim’ordine, un esempio straordinario di lealtà e amore per il proprio Paese. Ma c’è molta ipocrisia in queste lodi. Diciamo la verità: se McCain, in quest’anno di presidenza Trump, non fosse stato uno strenuo oppositore del presidente, la morte del senatore non avrebbe avuto la risonanza odierna. Non sarebbe passata di certo inosservata, ma non avrebbe avuto l’esposizione mediatica che si registra in questo momento. Gli oppositori di Trump, in ogni parte del mondo, hanno perso un loro paladino. McCain incarnava l’anima tradizionalista del Partito Repubblicano, e vedeva in Trump un personaggio estraneo alla storia del partito. Questo fu evidente già durante la campagna elettorale di Trump, benché lo slogan del futuro presidente – “Make America Great Again” – potesse rispecchiare le posizioni di McCain, che era stato sempre uno strenuo oppositore della politica estera rinunciataria di Obama e dell’accordo con Teheran. Ma la dura opposizione di McCain scavalcava questa impostazione presidenziale, perché il senatore repubblicano considerava Trump l’espressione di un’ambizione personale che non aveva nulla a che vedere con le solide basi conservatrici del Partito Repubblicano. Né la vittoria di Trump e soprattutto il tipo di elettorato che lo aveva votato lo avevano indotto a mutare la sua valutazione del nuovo presidente. Qui consistette la contraddizione fondamentale di McCain. Il Sud aveva votato per il repubblicano, secondo la tendenza che si era manifestata dai tempi di Nixon, e soprattutto Trump era stato votato dalla parte povera dell’elettorato americano, i lavoratori delle regioni intorno e a sud dei Grandi Laghi e della parte centrale, in cui la disoccupazione era diffusa. Trump era stato l’espressione del “common man” americano, il che rappresentava uno smacco per il Partito Democratico e un consenso molto importante per il Partito Repubblicano. Questo dato era inoppugnabile, ma McCain non volle coglierlo. Il Partito Repubblicano aveva di fatto sostituito il Partito Democratico nella rappresentanza della classe media impoverita e della grande massa della gente comune. Era una rivoluzione che andava avanti dagli anni settanta, in opposizione agli stravolgimenti della contestazione studentesca, e che nell’elezione di Trump aveva avuto il suo apice politico. Il Partito Repubblicano, però, sembra non essere in grado di valutare questo nuovo scenario ad esso favorevole, tenuto conto, inoltre, della crisi attuale del Partito Democratico e del mondo liberal che lo gestisce. McCain – è il caso di dirlo – ha contribuito, nella sua feroce contrapposizione a Trump, a offuscare le prospettive del suo stesso partito e a impedirgli di sfruttare al meglio la vittoria del suo candidato. Nello stesso tempo, ha dato vigore all’anti-trumpismo diffuso a livello internazionale e a danneggiare la posizione degli Stati Uniti nello scenario globale, una posizione già gravemente compromessa negli otto disastrosi anni della presidenza di Obama.

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