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Andrea Zanardo
Il contadino di Galilea
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Tradurranno mai Yossi Klein Halevi? 04/05/2018

Tradurranno mai Yossi Klein Halevi?
Commento di Andrea Zanardo

a destra Yossi Kein Halevi

Negli anni Novanta Israele era rappresentato, nel mercato editoriale italiano, da una triade di nomi (Oz, Yehoshua, Grossman) che venivano venerati come delle autorità politiche e religiose, qualsiasi cosa dicessero. Poco importa che la maggioranza degli israeliani leggesse altro e votasse altro. C’entrava molto l’abitudine di molti intellettuali ebrei italiani a cercare simpatia supporto e soprattutto protezione a sinistra.
Ma anche il fatto che la sinistra israeliana, sconfitta in Patria, cercasse supporto all’estero. Così abbiamo avuto una antologia di pensatori sionisti da cui erano assenti i sionisti religiosi e quelli revisionisti, vali a dire la coalizione che governa Israele da più di 30 anni e di cui il lettore italiano non poteva comprendere l’ideologia. 
Ed il vuoto veniva riempito da cialtroni e sentito dire. Chissà se l’editoria italiana avrà il coraggio di guardare oltre il recinto asfittico. 
Ci siamo dovuto sorbire i peana per Ari Shavit, seguiti da silenzio, davvero imbarazzante in epoca di #metoo, sulle ragioni per le quali anche quell’eroe era caduto in disgrazia. 
E le librerie sono piene della nuova raccolta di racconti del nipote di Levi Eshkol, dedicata (trattenete gli sbadigli se ci riuscite) alla famiglia.

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Una buona occasione per uscire da questo recinto asfittico sarebbe tradurre il nuovo libro di Yossi Klein Halevi, Lettere ai miei vicini palestinesi, “Letters to My Palestinian Neighbours”. Anche perché è una riflessione sul sionismo, e su cosa significa essere ebrei oggi in relazione ad Israele. 
Ci pensate? Trovare alla Feltrinelli nella sezione “Storia contemporanea” o “Medio Oriente” un libro di un autore che mette nero su bianco affermazioni che gli israeliani trovano banali. “Israele non è un rifugio contro le persecuzioni, il popolo ebraico ha un legame storico con questo luogo” o “L’esilio non è finito nel 1948, ma nel 1989 con la fine dell’ultimo totalitarismo che perseguitava gli ebrei”. 
Ma ve lo immaginate come reagirebbero le vestali della Memoria, quelli che ogni giorno ci ricordano che “Stalin ha liberato gli ebrei”. 
La verità è che chi provasse a tradurre e pubblicare o addirittura scrivere la prefazione di un libro del genere si giocherebbe la carriera accademica, quella editoriale e, se è di sinistra, anche quella politica.
Verrebbe inseguito da anonimi sui social media che gli danno del guerrafondaio o del pazzo criminale. Persino i familiari non sarebbero al sicuro da minacce e ripercussioni. Per consolarsi viene da pensare che comunque i libri in Italia vendono poco, che i lettori sono sempre di meno, che chi aspira a documentarsi comunque legge l’inglese e probabilmente, il giorno dopo l’inaugurazione della ambasciata americana a Gerusalemme, mentre la stampa italiana è piena delle solite apocalittiche previsioni che non si realizzeranno, scaricherà con comodo questo libro su Kindle (esce il 14 maggio) e seguirà l’argomentare pacato, al tempo stesso disincantato ma pieno di speranze, di un intellettuale di eccezionale valore.

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Che vede avvicinarsi la fine dell’ebraismo europeo e constata amaramente che i palestinesi non rinunceranno mai al progetto di sostituire Israele, attraverso il cosiddetto ritorno dei cosiddetti profughi, con uno Stato binazionale, in cui gli ebrei sarebbero minoranza. Rendendo così, questo e non altro è sempre stato l”obiettivo dei leader palestinesi, deboli ed esposti ad un nuovo sterminio gli ebrei di tutto il mondo. 
Roba che a dirla in Italia ti fai un sacco di nemici. 
Ti prendono, appunto, per matto o fascista. Tutto questo, seguendo l’insegnamento del Pirkei Avot (“Chi è un eroe? Quello che trasforma un nemico in un amico”) diventa per Klein Halevi e per gli intellettuali che come lui si muovono attorno allo Hartman Institute di Gerusalemme, la ragione per spiegare ai vicini palestinesi chi sono i sionisti, chi sono gli ebrei e cosa ci fanno da quelle parti e perché non se ne andranno mai.
Il Times of Israel ha tradotto in arabo il libro e messo a disposizione dei lettori di tutto il mondo di lingua araba. Viene da pensare alla studentessa del Cairo, al tassista di Ryad, al giovane hacker di Beirut, che di nascosto si scaricano questo testo, per la curiosità, più forte di qualsiasi censura, di sapere come è fatto il nemico. E muovono i primi passi per la conoscenza reciproca. Forse, in futuro, per la pace. Fosse solo per questo, vale la pena di leggerlo. Se poi ve lo fanno trovare in italiano, meglio ancora.

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Andrea Zanardo


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